“
Once a rocker, always a rocker” … un assioma coniato da
Joe Perry (non esattamente uno “qualunque” …) che mi sento in gran parte di condividere, soprattutto se applicato a un personaggio come
Spike, voce e
leader dei
The Quireboys, con i quali vive intensamente i vicoli del
rock n’ roll ormai da trentacinque anni.
Con un anniversario di questo tipo da celebrare, è presumibile immaginare un incremento nelle aspettative dei
fans ed ecco che “
Amazing disgrace”, pur “sconfitto” in partenza dai primi lavori della
band britannica (in particolare l’ineguagliato esordio “
A bit of what you fancy”), finisce per collocarsi tra gli episodi medio/alti di una carriera artistica sempre coerente, ma abbastanza fluttuante negli esiti artistici.
Nel disco troverete un po’ tutte le peculiarità tipiche dei nostri, ovvero quella miscela di
rock,
blues,
soul,
whisky, fumo, sporcizia, malinconia e
Union Jack che rimanda direttamente a leggende come Rolling Stones, Mott the Hoople e The Faces, stavolta supportata anche da una manciata di belle canzoni, ottimamente interpretate dall’inconfondibile
rasp e dall’attitudine istintiva di un’ugola intrisa di carisma ed empatia.
Con un pizzico di superiore incisività il giudizio sull’opera sarebbe stato anche più benevolo, e tuttavia è difficile non essere sedotti dal festoso
rhythm n' blues “
Original black eyed son”, dall’atmosfera lasciva di “
Sinners serenade” o dalle calorose pulsazioni
funky di “
Seven deadly sins”, che vi costringeranno a scuotere a tempo il vostro deretano, magari in una situazione privata, per non incorrere in spiacevoli indecenze.
La
title-track dell’albo mesce con buongusto ruffianeria e nostalgia, “
Eve of the summertime” sembra uscita dal
songbook del primo
Rod Stewart e l’assolata “
California blues” omaggia il mito della
Pacific Coast aggiungendo all’impasto sonico inebrianti fragranze psichedeliche.
Il
country-slow “
This is it” conduce l’astante in pigri pomeriggi campestri, “
Feels like a long time” piacerà anche agli estimatori dei Free, mentre “
Slave #1” ammalia e conquista i sensi tramite una buona dose di grinta, leggermente carente nell’economia complessiva dell’opera.
Tocca, infatti, all’elegiaca “
Dancing in Paris” continuare il programma, completato dall’accattivante “
Medusa my girl”, una polverosa ballata in stile
western piuttosto riuscita e convincente.
Fatalmente persa la sfida con il “glorioso passato” del gruppo, riconosciamo ai
The Quireboys il merito di portare avanti le “loro” idee musicali con tenacia e forza espressiva. conservando un pizzico di straordinaria
naiveté … tutto all’insegna di quella meravigliosa e innata “dannazione” chiamata
Rock n’ Roll.
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