I
Morass of Molasses sono un forzuto trio inglese, giunto al secondo album, che propone un heavy rock potente e roccioso, più di scuola americana che britannica. Il disco parte forte con due brani di grande impatto muscolare (“
Woe betide", "
Death of all”), dove emergono i riff metallici del chitarrista
Phil the Mountain, la voce aspra del bassista/cantante
Bones the Beard ed il drumming poderoso di
Raj the Guru. Lo stile mi ricorda molto quello di band come Mos Generator o Gozu, perché il tiro arcigno si sposa comunque con una valida accessibilità melodica e con qualche apertura più rarefatta.
“
Estranger” è invece un torbido blues notturno, dalle linee sofferte e denso di fumi alcolici, che evidenzia una differente radice musicale di questa formazione. Si cambia ancora direzione con la dolcezza acustica di “
Legend of the five suns”, dove compare anche un flauto che rievoca i leggendari Jethro Tull. Torna l’aggressività heavy con la pesante e massiccia “
Persona non grata”, dai contorni quasi sludge, mentre “In our sacred skin” è un mid-tempo cadenzato e fiero alla Grand Magus. Il lavoro si chiude con un'altra ballad acustica (“
The deepest roots”) caratterizzata da toni uggiosi e voce malinconica.
Un album non eccelso ma interessante, nel quale la formazione inglese mette in mostra sfaccettature diverse del proprio bagaglio musicale, coniugando insieme ma tenendole distinte influenze rock, metal, blues e folk. Con ulteriore sforzo, i
Morass of Molasses potrebbero diventare un nome significativo nel panorama heavy rock internazionale.
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