Seconda fatica in studio per i pordenonesi
Veuve che ritornano con
Fathom a tre anni di distanza dal debut
Yard. In tre anni le cose sono cambiate parecchio per il combo friulano: a livello di line-up si registra l'uscita del chitarrista Felice di Paolo e l'entrata di Stefano Crovato, mentre per quanto riguarda il disco si assiste a un sensibile miglioramento un po' su tutti i fronti rispetto al già onesto esordio. Nel 2019 la band dimostra una maturità e una capacità di composizione sicuramente maggiori rispetto al 2016 e ciò si concretizza in 7 tracce dalla durata abbastanza corposa, tutte caratterizzate da un songwriting di buon livello, suoni piuttosto professionali (forse le chitarre sono in generale un po' più asciutte di quanto necessiterebbero) e una performance molto positiva dietro tutti gli strumenti, compresa la voce che pur non essendo nulla di trascendentale riesce a interpretare con sufficiente convinzione le buone linee vocali che il platter presenta. Lo stoner (più rock che metal) dei Veuve riesce ad essere piuttosto convincente per tutti i quasi 50 minuti del disco grazie a riff incalzanti e, come da tradizione nel genere, belli succulenti. La componente blues è molto presente e ciò permette ai nostri di non limitarsi a seguire le orme dei mostri sacri
Kyuss ma di incorporare degli elementi psichedelici settantiani che contribuiscono sicuramente ad arricchire la proposta di
Fathom. Nonostante i riferimenti siano piuttosto classici il risultato appare fresco e moderno, ricordando, in qualche occasione, band come gli
Elder.
Un buon album, quindi, che presenta ancora sensibili margini di crescita... chissà che il terzo lavoro, sempre molto delicato per la vita artistica di una band, non sia proprio quello del botto definitivo per una band che dimostra padronanza del genere e capacità tecniche molto buone.
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