Quinto album da studio, per la band di Miami, Florida. Formatisi nel 2005, gli statunitensi hanno collezionato un gran numero di split e lavori brevi, ma questo è il loro primo full-lenght dal precedente “Restarter” uscito nel 2015.
La caratteristica che li ha resi piuttosto popolari negli Stati Uniti è la commistione di strutture strumentali sludge/stoner, essenzialità punk ed attitudine vocale pop-rock. Una miscela particolare, che si condensa in brani brevi e concisi che non concedono nulla alle divagazioni trippy spesso presenti in questo ambito sonoro, puntando invece su una certa accessibilità destinata ad un pubblico meno specializzato. Il nuovo lavoro conferma e semmai accentua, tale orientamento stilistico.
La parte vocale espressa dal leader
Steve Brooks è costantemente pulita e morbida, con punte che sfiorano lo shoegaze più onirico (“
Admission", "
Slide", "
Reminder”) anche quando i brani sono distorti e trascinati sludge (“
Times missing", "
Infierno", "
Changes come”) o temi aggressivi, torvi e serrati (“F
rom here", "
Extremes of consciousness", "
On the wire”). In certi momenti sembra di sentire la musica dei Kylesa o dei Fatso Jetson in versione più orecchiabile, più pop-oriented. Una sorta di ponte ideale tra l’intransigenza provocatoria del moderno heavy rock e l’orecchiabilità dei prodotti a maggiore respiro.
Un lavoro che potrebbe lasciare perplessi i fans della prima ora, ma che rappresenta un ulteriore passo in avanti nel percorso di evoluzione stilistica dei
Torche. Non eccezionale, ma sicuramente meritevole di un ascolto approfondito.
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