Dall’inaspettato ritorno del 2010, il percorso artistico degli
Unruly Child nelle frenesie discografiche del terzo millennio prosegue con passione e ispirazione, aggiungendo una dose importante di fatale “maturità” a quelle straordinarie dotazioni compositive ed espressive che hanno reso la
band americana una delle più amate dal pubblico dei
chic-rockers (indicativa, a questo proposito, l’accoglienza tributata loro durante il
Frontiers Rock Festival IV).
“
Big blue world”, il nuovo lavoro ancora una volta patrocinato dalla
Frontiers Music, rappresenta un altro passo all’insegna dell’eleganza, della capacità evocativa e della presa emotiva in una fusione tra
AOR,
prog e
pop di enorme suggestione e in cui la componente squisitamente
hard-rock funge quasi da prezioso “corollario”, a garantire un adeguato dinamismo dei suoni.
Yes (quelli più “commerciali”), Styx, World Trade, Kansas finiscono così per dover essere citati come plausibili riferimenti per indirizzare gli eventuali neofiti, ma è altresì necessario avvisare tali imbelli uditori che da queste parti non troveranno nemmeno l’ombra delle tipiche prestazioni “nostalgiche” o imitative di tanta musica contemporanea.
Qui c’è “solo” la classe immensa di una formazione dotata di un evidente carisma, il cui cuore, volendo “rassicurare” anche i suoi fedeli estimatori, continua a pulsare in un profluvio di note raffinate e intense, coordinato da una delle voci più emozionanti della scena.
Si parte con l’enfasi adescante e i sontuosi arrangiamenti di “
Living in someone else’s dream”, arricchiti in “
All over the world” da intriganti vibrazioni
hard, mentre “
Dirty little girl” avvolge l’astante in un delizioso clima dagli accenti vagamente Bad English-
eschi, capace d’insinuarsi subdolamente tra i suoi avidi gangli sensoriali.
Tocca, poi, alla suggestiva melodia elettro-acustica di “
Breaking the chains” offrire a
Marcie Free il
background ideale per esprimere tutto il formidabile potenziale interpretativo di cui è dotata, sublimato anche dal ricercato romanticismo di “
Are these words enough” e dalle vaporosità adulte di “
Will we give up today”, che con appena un pochino di “ruffianeria” supplementare avrebbe potuto fare sfracelli.
Il pianoforte di
Guy Allison, assieme all’appassionata laringe di
Free, diventa protagonista nella
ballatona “
Beneath a steady rain” e se la sua spiccata ampollosità urta in qualche modo la vostra sensibilità di
rockers, le scosse Zeppelin-
iane di “
The harder they will fall” ristabiliranno la sua piena funzionalità, salvaguardata pure dalle notevoli facoltà seduttive dell’
ottantiana “
Down and dirty” e della bella “
The hard way”.
Gli
Unruly Child sono “cresciuti” e, a dispetto del loro splendido
monicker, sono forse diventati un po’ più “disciplinati” e sereni, consapevoli che il “passato”, travagliato e straordinario, è la solida base su cui edificare un “presente” ancora radioso e ampiamente soddisfacente.
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