Ed eccoci di nuovo … come accaduto in molte altre occasioni (il caso più recente riguarda i Roxy Blue), all’attempato recensore è richiesto uno “sforzo” supplementare … analizzare in maniera distaccata il nuovo lavoro di una
band capace in “gioventù” di scatenargli importanti scosse
cardio-uditive e poi sparita dalle scene per lungo tempo.
Si tratta, insomma, di epurare il giudizio da questioni “affettive” e “nostalgiche”, una faccenda abbastanza complicata, soprattutto se tra il passato e il presente del suddetto gruppo sono altresì individuabili talune differenze stilistiche.
E allora diciamo subito che gli
Spread Eagle di “
Subway to the stars” non sono “esattamente” più quelli del debutto “
Spread Eagle”, anfetaminico e furioso gioiellino di
street-metal, in grado di distillare Skid Row, Motley Crue e gli storici The Godz in una miscela sonica altamente esplosiva.
Essendo trascorsi quasi trent’anni tra i due estremi della carriera dei nostri (in mezzo c’è anche "
Open to the public", del 1993), un qualche “cambiamento” appare prevedibile, legittimo e magari anche apprezzabile, ma come ben sanno i
musicofili della mia generazione, ogni paragone con il tempo andato rischia di uscire già sconfitto in partenza.
Provando, dunque, a svincolarsi da tali suggestioni, è necessario “razionalmente” sottolineare quanto “
Subway to the stars” sia nell'insieme un lavoro di discreta fattura, che conserva lo spirito corrosivo della formazione americana e lo sottopone a un’operazione di “aggiornamento” sonoro (compresi gli arrangiamenti) abbastanza evidente, sebbene non particolarmente snaturante.
In tale contesto, dopo aver rilevato che “
More wolf than lamb” sembra più una (piacevole)
outtake degli Alice In Chains che un pezzo degli
Spread Eagle e che “
Cut through” (dal ritornello vagamente Priest-
iano) si perde in abuliche digressioni metalliche, si può tranquillamente accogliere senza sbarranti remore la "nuova" direzione artistica del gruppo, accesa da una sferragliante
title-track, dalla viziosa “
29Th of February” e dall’aggressività di “
Sound of speed”, “
Dead air” (bello il tocco oscuro che alimenta il brano) e “
Grand scam”, tre momenti di rispettabile intensità emozionale.
“
Little serpentina” non spiace grazie a una melodia obliqua e magnetica, “
Antisocial butterfly” colpisce per il piglio
punk-eggiante, mentre “
Gutter rhymes ror Valentines” seduce con un avvolgente clima
glam-rock e “
Solitaire” sigilla il programma con una ballata elettro-acustica tutt’altro che indimenticabile.
Gli
Spread Eagle tornano a volare, ma qualche “zavorra” espressiva di troppo impedisce loro di svettare sull’agguerrita concorrenza contemporanea … un peccato, e non solo perché il ricordo dei “giorni gloriosi” è così maledettamente difficile da scacciare dalla memoria.
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