Ragazzi, questo é un disco che mi ha stupito, piacevolmente stupito, perché dato il nome, mi sarei aspettato qualcosa di pesante ed estremo, ma invece questo album é estremo a modo suo.
Basta vedere la copertina, che é arte moderna e sembra presa dai grandi e inimitabili
Talking Heads (chi non sa chi siano, vada a riscoprirli), questa band ha lasciato i lidi punk per abbracciare sonorità evolute del genere.
Un album che profuma di primi anni 80, quando il punk stava decidendo di prendere strade diverse, abbracciare i sintetizzatori e mutare in quella creatura denominata new wave, si avete capito bene.
L’opener fa capire il tutto “
The turn away bad thing”, apre con synth, un basso che si dimena, batteria protesa per il dance floor e la voce del singer
Ross Farrar a colpire l’ascoltatore con veemenza poetica.
Ma il punto focale della formazione é il chitarrista
Anthony Anzaldo che si divide tra chitarre e synth con melodie ispirate e che catturano dopo un paio di ascolti; c’è anche un gran bell’intermezzo aperto dove abbiamo un intervento femminile e un mid tempo quasi prog con synth e orchestrazioni per poi riprendere quota.
La titletrack segue l’onda con un mid tempo, dove i synth sorreggono le danze e le chitarre serrano le fila con riffing serrati che esplodono nel chorus molto ottantiano.
Qui si sente una vena punk nel cantato di
Farrar che sembra parlato e ispirato nel chorus, un brano quasi goth in alcuni versanti.
“
Further i was” é new wave allo stato puro, sentitevi quei synth e riffing, sembra di venire proiettati negli eighties.
Un brano dal chorus trascinante, ma soprattutto che sembra ispirato ai primissimi
Simple Minds, quelli più ribelli e difatti le chitarre lasciano riff graffianti con la batteria che mena colpi di rullante ben assestati.
“
Say goodbye to them”, é post punk con andamento pulsante, il basso che preme sulla batteria, si sente qualcosa dei
Ramones nel chorus ma i synth sono pienamente anni 80.
Un brano che si sorregge sul ritmo lineare e sul basso; le chitarre giocano di rimando ma il brano scorre via in meno di tre minuti.
“
Years of love” ha un riffing che entra in testa, un brano che ha nella sua indole la provocazione al ritmo.
Il brano sembra fatto apposta per ballare, l’andamento é un up tempo con batteria e basso calibrati, con i riffing che sorreggono i synth che si regalano anche un solo e il singer che giostra a piacere la voce.
Un disco che é molto ben fatto, prodotto e soprattutto curato nei minimi particolari; data la sua origine ottantiana qualcuno potrebbe osare di definirlo nostalgico, ma non lo è; anzi, é un album che potrebbe piacere a molti metallari dai gusti musicali aperti e ennesimo bel colpo dalla
Relapse che li ha voluti.
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