Autentico
stakanovista della scena melodica internazionale (oltre alla corposa carriera solista, ricordiamo anche la militanza in Legion, Cranston, Tragik, D’Ercole, …),
Phil Vincent è uno di quegli artisti dalla solida reputazione incapaci, però, di superare in maniera risoluta il ruolo di personaggio di “culto” del settore.
Difficile immaginare che il nuovo “
Hypocrite” possa modificare questo stato di cose … siamo, infatti, di fronte ad un altro dischetto piuttosto gradevole, in grado di spaziare con una certa disinvoltura tra
hard,
pop e puro
AOR, ma complessivamente privo di quello slancio espressivo necessario a garantire il salto di qualità “definitivo”.
Una produzione poco incisiva non favorisce un risultato finale comunque apprezzabile, sostentato dalla valente vocalità di
Vincent, che ben si abbina sia ai pezzi più grintosi (“
Broken”, la vagamente Winger-
iana "
Waste of time”, “
Long way down”, “
Prima Donna”) e sia a quelli caratterizzati da suoni maggiormente vaporosi e “adulti” (“
Back in the day”, “
Nobody’s gonna miss you”, "
Time will tell”, “
Never enough” e il suo intrigante tocco
synth-pop).
La
title-track dell’opera, sincopata, scabra ed elettronica, rappresenta, infine, il tentativo, non molto riuscito invero, di accentuare ulteriormente l’eterogeneità del programma.
Un lavoro di discreta fattura, dunque, che si colloca con “fierezza” e integrità nella fascia media dei prodotti analoghi ed è verosimilmente destinato ad attirare solamente l’attenzione dei fedeli (e “facoltosi”, mi sa, vista la sua prolificità ...) estimatori di
Phil Vincent.
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