Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2019
Durata:48 min.
Etichetta:Rock & Growl Promotion

Tracklist

  1. ARRIVAL
  2. POINT OF NO RETURN
  3. SANCTUARY
  4. DARKEST HOUR
  5. FAREWELL
  6. DOWNFALL
  7. ASCENSION
  8. INNOCENCE LOST
  9. THE AFTERMATH
  10. CLOSER TO HEAVEN
  11. THE END OF TIME

Line up

  • Rogue Marechal: vocals
  • Jack Kirby: guitars
  • Andrea Arcangeli: bass
  • Michael Brush: drums
  • Katia Filipovic: keyboards

Voto medio utenti

Ci hanno messo ben 8 anni prima di vedere pubblicata la loro musica , ma alla fine l’attesa è stata ampiamente ripagata, considerando che hanno sfornato un album dannatamente ed anche sorprendentemente bello!
Ma andiamo con ordine, innanzitutto chi sono questi Ark Ascent? Ai più, il monicker non dirà nulla, ma è sufficiente leggere i nomi dei musicisti che fanno parte questo gruppo per capire che non ci si trova dinnanzi a degli sbarbatelli alle prime armi ma, al contrario, siamo al cospetto di “signori musicisti” che alle spalle vantano anche una certa esperienza, a partire dal frontman Rogue Marechal (storico singer degli Shadowkeep), passando per il drummer Michael Brush (già batterista dei Sirenia), per il chitarrista (nonché polistrumentista) Jack Kirby, concludendo con il “nostro” Andrea Arcangeli (bassista dei grandissimi DGM).
Insomma, le premesse per partorire un ottimo lavoro c’erano tutte e, per assurdo, questa lunga attesa ha anche permesso alla band di perfezionare le 11 tracce di cui è composto questo debutto discografico intitolato Downfall, che si dimostra sin dall’iniziale Point Of No Return, brano caratterizzato da riffs graffianti e ritmiche in costante cambiamento, un lavoro fresco, intenso ed assai ispirato, anche se non privo ovviamente di contaminazioni da parte dei maestri del genere, come dimostrano le successive tracce Sanctuary e Darkest Hour in cui le tastiere, curate dalla special-guest Katia Filipovic, riportano alla mente alcuni lavori più recenti degli Stratovarius, mentre in altri frangenti, soprattutto durante il cantato, grazie alla drammaticità espressa, la memoria va ai primi Evergrey. Tuttavia sono proprio i botta e risposta assai tecnici tra chitarra e tastiera a rappresentare probabilmente l’elemento più interessante e coinvolgente dell’intero album, spesso giungono dopo melodie ariose e di facile presa e si stagliano su una sezione ritmica solidissima ma in continua evoluzione dal punto di vista dei tempi, secondo la più classica tradizione progressive, è questo il caso della già citata Darkest Hour (che rimanda anche agli stessi DGM), della graffiante title-track, ma soprattutto di The Aftermath, probabilmente l’episodio migliore dell’album, canzone suddivisa in due parti, la prima più melodica, in cui il protagonista assoluto è Rogue Marechal con la sua voce pulitissima, la seconda strumentale, è un vero e proprio tributo, nemmeno troppo celato, a Dream Theater e Symphony X, ma soprattutto al periodo d’oro di questi ultimi; sembra infatti di riascoltare alcuni spezzoni di "The Divine Wings Of Tragedy", o "Twilight In Olympus" inseriti con gusto sopraffino all'interno del brano che sorprendentemente riesce a mantenere la propria originalità, nonostante tali pesanti influenze lo segnino in maniera indelebile, prima che il cantato riprenda il sopravvento riportando il pezzo sui binari iniziali caratterizzati da melodie sognanti ma drammatiche al tempo stesso, considerando la tragedia che sta per compiersi ovvero, come dice il refrain, “The Fall Of Mankind...”la distruzione dell’umanità, questo è il tema dell’intero disco. Un intermezzo toccante (ve ne sono ben 3, altro elemento che lascia intendere che l’album sia in realtà un concept) di circa un paio di minuti intitolato Closer To Heaven, anticipa la conclusiva The End Of Time, il pezzo più lungo del disco (13 minuti) in cui, come era già accaduto per la “semi-ballad” Innocence Lost, viene dato ampio risalto all’aspetto emotivo generato dall’argomento trattato, ossia come già detto, l’estinzione del genere umano, e cosi in questa traccia emergono, tramite le melodie e le lyrics, decantate dall’impeccabile voce di Rogue, tutti quei sentimenti figli della drammaticità della situazione, come rabbia, disperazione, frustrazione ma anche commozione e speranza. Musicalmente questo brano conclusivo potrebbe considerarsi una sorta di manifesto rappresentativo dell'intero album, in quanto caratterizzato da assoli tecnici, sound graffiante e melodico al tempo stesso, ritmiche in costante evoluzione e pregno di elementi derivativi ma inseriti all’interno di uno stile reso personalissimo e tremendamente attuale, che non concede un attimo di tregua all’ascoltatore, il quale si fa volentieri trasportare dalla musica degli Ark Ascent attraverso un viaggio, sognante e tragico al tempo stesso, che regala profonde emozioni dall’inizio alla fine.


Recensione a cura di Ettore Familiari

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