E’ opinione diffusa che le
all-star band e i
side-project, soprattutto in tempi di grandi e agevoli possibilità “tecnologiche”, siano solo una maniera con cui annoiate celebrità musicali impegnano il loro tempo libero, tentando al contempo d’incrementare le proprie sostanziose risorse economiche.
Non credo proprio che i
KXM, “supergruppo” formato da
dUg Pinnick (King’s X, ma anche una pletora di altre pregevoli collaborazioni …),
George Lynch (Dokken, Lynch Mob, …) e
Ray Luzier (Korn), rischino tale riprovevole attribuzione, effettivamente un po’ troppo spesso legittima e condivisibile.
Giunti al terzo
full-length i nostri dimostrano come il loro percorso di “ricerca”, sviluppatosi tra
blues,
soul,
metal,
grunge e rifrazioni psichedeliche, prosegua in modo schietto e genuino, alimentando un “moto perpetuo” di sperimentazione sonora assai interessante e verosimilmente non ancora giunto alla sua configurazione definitiva.
“
Circle of dolls” è, infatti, un disco molto affascinante, tecnicamente eccelso, smanioso, enigmatico e tuttavia anche talvolta eccessivamente opprimente, soffocato dal peso di canzoni da cui la melodia, in grado di far esplodere anche la composizione più complessa e cangiante, fatica a emergere.
Seppur esaltato dalla voce calda e comunicativa di
Pinnick, dal chitarrismo funambolico e creativo di
Lynch e dalla batteria nervosa di
Luzier, il programma evidenzia qualche battuta d’arresto di troppo, per fortuna ampiamente controbilanciata da brani dove estro e tensione espressiva si completano grazie all’incisività delle architetture melodiche.
Così, se “
War of words” è un valido esempio di massiccia e frenetica contaminazione sonica, tocca a “
Mind swamp” ostentare le migliori prerogative artistiche dei
KXM, impegnati in un ipnotico e iridescente prototipo di
heavy-psych-blues, in cui fa capolino qualcosa dei Tin Machine.
Un’ombrosa e apprezzabile
title-track lascia il posto a un’altra gemma di musica straniante denominata “
Lightning”, seguita dalla bella “
Time flies” (intrigante il tocco vagamente
new-wave) e dalla malinconica “
Twice”, ancora una volta dominata dall’ugola ardente di
dUg e da magnetici impasti vocali.
Il
funky algido di “
Big as the sun” piace e lascia simultaneamente un senso “d’incompiuto”, e la stessa sensazione la trasmette “
Vessel of destruction”, un
hard-blues greve e leggermente manieristico.
“
A day without me” mescola, con discreti risultati, King’s X e Beck, mentre “
Wide awake”, “
Shadow lover” e la Floyd-
iana “
The border” (intramezzate da una traballante “
Cold sweats”), sigillano l’opera in un profluvio di lirica e stordente inquietudine, in cui affiora appena un pizzico di eccessiva diluizione.
“
Circle of dolls” appare, dunque, un ulteriore passo verso qualcosa di veramente “importante” ed è un lavoro per molti versi coraggioso, che per essere compreso appieno forse richiederà un po’ di pazienza, una peculiarità,
ahimè, sempre più rara nei
musicofili dell’era moderna.