Un certo
Friedrich Nietzsche sosteneva che “
Quello che non uccide, fortifica …” e credo proprio che i
Crashdiet siano un buon esempio della validità di tale affermazione.
Attraverso una parabola artistica parecchio travagliata, gli svedesi sono passati negli anni da concreta promessa dello
street-metal scandinavo a una delle tante
band di buon livello che affollano tra alti e bassi il
rockrama internazionale, per poi sparire dalle scene, all’apparenza fiaccati in maniera definitiva dalle numerose circostanze avverse.
E invece, abbastanza inaspettatamente, eccoli tornare, a sei anni dal precedente “
The savage playground”, con un nuova fiammante collezione di canzoni e un nuovo graffiante cantante, pronti a dimostrare che nell’agguerrita competizione per i vertici del settore sarà oggi necessario aggiungere un altro importante pretendente.
“
Rust” è davvero un eccellente ritorno, in cui la simbiosi tra suoni granitici e melodie viziose e ammalianti si realizza in modo assai convincente, dominata dall’ugola potente e comunicativa della
new entry Gabriel Keyes e dalla chitarra tagliente dell’irriducibile
Martin Sweet, autentico
leader del gruppo.
Non c’e l’ombra di rilassatezza o di eccessivo manierismo nei solchi di un disco che fin dall’impatto frontale della
title-track ostenta una rinnovata energia e vitalità.
La sferragliante e adescante “
Into the wild” continua a fornire la medesima sensazione di “rivalsa” e se “
Idiots” è un bel tuffo rinfrescante nella Los Angeles “stradaiola” degli
eighties, “
In the maze” abbassa i toni e conquista per una struttura armonica passionale ed elegiaca, piuttosto “classica” e tuttavia priva di quel rigore prevedibile o inespressivo che spesso caratterizza le produzioni musicali contemporanee.
“
We are the legion” è un grande
anthem da cantare a squarciagola, “
Crazy” mescola adrenalina, dissolutezza e zucchero, mentre le irresistibili “
Parasite” e “
Stop weirding me out” rimandano la memoria direttamente al favoloso
modus operandi dei migliori Ratt.
Ancora tre citazioni, prima delle considerazioni finali … “
Waiting for your love”, una pregevole ballata enfatica sottolineata dall’adescante intervento delle tastiere e la coppia “
Reptile” e “
Filth & flowers”, consacrata all’
heavy più cromato e impetuoso, sulla scia di illustri interpreti del settore quali Malice e Lizzy Borden.
I
Crashdiet sembrano aver trovato la formula per trasformare la negatività in forza espressiva, ristabilendo gli equilibri artistici in un albo che potremmo considerare uno
spot sugli effetti positivi della resilienza e non mancherà di soddisfare i loro tanti fedeli estimatori, finendo, magari, per acquisirne di nuovi … bentornati!
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