Mi pare ieri quando rimasi fulminato dall'ascolto di "
Shrouded Divine", disco di debutto degli svedesi
IN MOURNING pubblicato dalla norvegese
Aftermath Music, invece sono già passati ben undici anni.
Undici anni in cui il quintetto di Falun non ha sbagliato nulla, quattro album meravigliosi, senza un minimo cedimento, quando più ammantati di atmosfere oscure, quando più estremi (specie ad inizio carriera), quando più progressivi o melodici, ma sempre con estrema classe, eleganza e leggiadria.
Il nuovo "
Garden of Storms", uscito nuovamente per la polacca
Agonia Records, non fa assolutamente eccezione e conferma la bontà della formazione svedese che purtroppo nel frattempo ha perso nuovamente dei pezzi: il batterista che era appena entrato in occasione della scorsa recensione è durato il tempo di un disco, mentre lo storico bassista
Pierre Stam, presente nella lineup fin dal principio, ha lasciato gli In Mourning a quanto pare per divergenze musicali, sulla scia di
Christian Netzell, batterista dei primi tre lavori.
Rimane il nucleo formato dai due chitarristi e dal cantante che per questo 2019 hanno confezionato un disco che racchiude un po' tutte insieme le anime degli In Mourning, passando con disinvoltura da atmosfere rarefatte e forbite ad accelerazioni brutali, testimonianze di un passato per fortuna ancora ben presente, anche perchè il bravo
Tobias Netzell non rinuncia mai al suo growl, affiancandolo solamente ad una voce pulita sempre più sorprendente, specie se paragonata con le sue prestazioni di una decina di anni fa.
Gli elementi progressivi in questo "Garden of Storms" sono probabilmente maggiori rispetto al suo predecessore, ma questi non hanno affatto alleggerito l'impatto del disco, solo accentuato la diversità tra le varie sfaccettature, ricordandomi molto da vicino specie in brani come "
Hierophant" e "
Magenta Ritual" gli sfortunati
Sole Remedy, altra fenomenale band progressive melancholic metal finlandese, guardacaso anch'essa sotto l'egida della Aftermath.
Senza dubbio questa lieve trasformazione è stata dovuta anche alla produzione, visto lo scempio compiuto nel precedente "
Afterglow" in cui, nell'intento di conferire un sound più live e diretto, gli In Mourning erano incappati in suoni assolutamente inadeguati, unico vero neo di un lavoro monumentale.
Al contrario, in "Garden of Storms" è stata posta grande cura riguardo questo elemento, con una produzione brillante e satinata, capace di esaltare sia le atmosfere più soffuse e signorili, sia quelle più ferali ed aggressive come in "
Huntress Moon" o nell'opener "
Black Storm": bissare un disco fenomenale come "Afterglow" - probabilmente il loro migliore insieme all'insuperabile debut "Shrouded Divine - era un risultato impensabile persino per loro ma rimanere delusi è letteralmente impensabile.
Meno epici e drammatici rispetto a tre anni fa, gli In Mourning scelgono oggi una strada lievemente differente ma che conduce allo stesso risultato, ovvero quello di una qualità estrema che ben pochi riusciranno ad apprezzare.
Noi, felici pochi.
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