Quinto album per i
Pyramido, formazione svedese di Malmoe della quale avevo già recensito "Salt" pubblicato nel 2011. Nel corso degli anni il loro sound si è un pochino snellito, anche se rimane comunque un claustrofobico monolito sludge/post-metal senza compromessi. Strutture musicali lente, distorte e pesanti, accompagnate dall'urlo rauco di
Ronnie Kallback, più vicino al death metal che al doom/sludge. Sei brani lunghi e soffocanti, dall'atmosfera tetra e maligna, dove la pulsione ritmica diventa un martello costante che annichilisce qualsiasi spiraglio melodico. Piuttosto in certi passaggi compare qualche pallida concessione alle aperture più meditative alla Neurosis ("
Insikten"), ma il canto disturbante e monocorde riconduce il tutto ad un certo estremismo metallico che non concede tregua. Non a caso l'episodio più brillante risulta la conclusiva title-track, prevalentemente strumentale e pregna di solenne sofferenza, dove il contributo vocale compare soltanto in coda al brano.
Ritengo ci sia troppa piattezza nello stile degli scandinavi, una formula che si ripete senza particolari variazioni e che alla fine risulta un pò stancante. Il tiro massiccio e sferragliante, il canto lento e urticante, le sonorità ultra-ribassate, funzionano fino ad un certo punto poi cominciano a creare tedio. Mi aspettavo una maggiore crescita da parte di questa band, ma alla luce di quest'ultima prova in chiaroscuro si collocano soltanto nello standard del settore.
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