Sostanzioso "raccoltone" per Eric McFadden, un artista poliedrico e fantasioso che vanta collaborazioni con gente del calibro di George Clinton e il P-Funk All Stars, Bo Diddley, Les Claypool, Living Colour e che qualcuno ricorderà come parte integrante dell'eclettico progetto denominato Stockholm Sindrome.
Un titolo molto eloquente e una grafica di copertina degna di un Lewis Carroll in pieno trip "acido", c'introducono all'universo di quest'incredibile musicista, che affronta la musica come un'entità "globale" senza farsi limitare dalle pastoie dei generi, con quello sguardo disincantato di chi sa di poter affrontare una sfida probabilmente piuttosto "anti-commerciale" senza temerne le conseguenze, supportato da una considerevole ironia e dal guizzo di una "follia" creativamente lucida, che consente accostamenti e contrasti apparentemente abbastanza improponibili, ma che poi grazie ad un'enorme cultura musicale e a quella cosa che potremmo definire, con un termine un po' ampolloso, "genialità", trovano quasi magicamente la loro giusta collocazione, come in un puzzle dalle innumerevoli tessere, dai colori ora accesi, ora tenui, che lentamente si dispongono a formare sorprendenti immagini caleidoscopiche e sempre alquanto piacevoli alla "vista", anche per merito di una notevole ispirazione melodica.
Non stupiscono, in questo modo, le liaison con Clinton, Living Colour e con Mr. Primus, in virtù di un'analoga attitudine naturale nella difficile materia della "contaminazione" senza confini.
Un'antologia in cui troverete rock, blues, flamenco, valzer, country, punk, musica circense e quella indirizzata alle colonne sonore, folk, twang, accenni stoner, influenze mediorientali, virtuosismi strumentali, in un calderone dove si coagulano la drammaticità delle atmosfere care a Tom Waits, Nick Cave e Johnny Cash, i Rolling Stones, Duane Eddy, Steve Vai, Paco De Lucia, Ben Harper, gli arrangiamenti di Ennio Morricone, l'approccio dei Queens Of The Sone Age e quello dei Clash, a formare un pastiche sorprendente, magnetico ed avvincente.
Spigolando tra le tante situazioni intriganti, citazione d'obbligo per la malinconia ammaliante di "Never gonna burn", il modern-surf di "The ghost-maker", Waits e Homme che s'incontrano per "Workin' for a dead man", i profumi d'oriente in salsa funky di "Babylon milkbird", "Field of bones", volo pindarico tra Metallica del "Black album", Madrugada e Primus, il punk 'n' roll cupo di "I feel too good to die" e poi ancora "Ride", adatto per la soundtrack di un eventuale sequel di "Reservoir dogs" o "Pulp fiction" e siamo solo al primo Cd.
Nel secondo platter, mediamente più riflessivo, trovano spazio le delizie "latine" "Viva la viv", "Room #8" e "Dejame sola", i fumi "mefistofelici" di "Voodoo lady", gli abbozzi di bossa nova in "Dead stop carnival", le calde cadenze avvolgenti di "Tick tock", l'emozione in versione acustica espressa in "On the inside" e "Under her curse", quella d'estrazione cantautorale di "Tell me lie" e finanche la splendida intensità di "Nothing song".
Un gran bel disco, questo "Dementia", forse non adatto a tutti i palati, ma un'imponente espressione di libertà artistica ormai non troppo consueta, insomma, come dicevo, davvero un gran bel disco!
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?