Probabilmente a molti è sfuggito il fatto che i Judas Priest non si sono mai sciolti e che ora, rivitalizzati dal ritorno in formazione di Rob Halfort, sono più vivi che mai.
Tra le file di questi "impreparati" si collocano sicuramente i Killing Machine, formazione fondata dal chitarrista Peter Scheithauer che omaggia i Judas Priest anche nella scelta del nome da dare alla band, giunti ora al secondo album.
E pensare che questi musicisti non sono certo gli ultimi arrivati, nelle loro fila ritroviamo il cantante James Rivera (Seven Witches, Helstar, Destiny's End, Distant Thunder...) il chitarrista Juan Garcia (Agent Steel, Evil Dead) ed una sezione ritmica solida ed affiatata composta da David Ellefson (ovviamente l'ex bassista dei Megadeth) e alla batteria da Jimmy DeGrasso (anche lui ex Megadeth ed un passato nei Suicidal Tendencies e Y&T). Alla fine il meno conosciuto è proprio il fondatore del gruppo, Peter Scheithauer, chitarrista nei misconosciuti Temple of Brutality e negli Stream, in passato anche al fianco del Belladonna solista.
L'opener, "Killing Machine", tiene assolutamente fede al titolo che porta: Judas Priest rules, anche se più che all'omonimo disco del 1978 i riferimento maggiori vanno sicuramente ad un album come il relativamente più recente (del 1990) "Painkiller".
Rivera clona letteralmente il miglior Halford, mentre i compiti di Tipton/Downing spettano ad una coppia di chitarristi, Scheithauer/Garcia, che non ha remore ad accentuare la componente speed & thrash (con ad esempio echi di Exciter, Agent Steel, Metal Church…) nella propria prova.
L'inizio e le parti rallentate di "Redemption From Genocide", un brano che richiama le atmosfere di una "Beyond the Realm of Death", ricordano parecchio l'Ozzy solista ma quando si accelera tornano a far capolino i Priest più cattivi. Quelli di "Defenders of the Faith" si affacciano invece su un pezzo veloce come "Loup Garou".
Rivelato il loro codice genetico, non si può comunque negare che si tratta di una decina di canzoni riuscite, mai banali e, anche se la mia preferenza va al roccioso mid-tempo "Scarred Beyond Black" (tra Accept e Metal Church), tutte quante si piazzano su livelli d’eccellenza.
Derivativo (certo, avrebbe quasi l’aria di un tributo) quanto volete, eppure "Metalmorphosis" rimane un signor album, anche perché i musicisti di cui sopra non sono solamente conosciuti, sono pure bravi ed efficaci.
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