Non sono un grande sostenitore del fenomeno delle “tribute-band” e anzi m’infastidisce parecchio l’idea che un gruppo per continuare a fare musica e sbarcare il lunario si debba affidare a tali pavide manifestazioni espressive. D’altra parte, però, è pure possibile che l’esperienza sui palchi a eseguire brani di qualcun altro sia propedeutica a realizzare un disco “proprio” di formidabile statura artistica, ben lontano da ogni forma di sterile riproduzione dei vari maestri del genere.
E’ questa la “profonda” riflessione che m’istiga l’ascolto di “
The wildest season”, strepitoso debutto dei
Dream Company, giunto dopo tredici anni di attività consacrata al culto di Bon Jovi, con centinaia di apprezzati concerti in tutta Europa.
Ebbene, il disco non soffre minimamente di
bonjovite (un
virus assai diffuso, soprattutto nel periodo di massimo splendore di
Mr. Bongiovanni …) e offre quaranta minuti di cristallina qualità musicale, pregna di abilità esecutiva e di una capacità rara nel saper scrivere e interpretare “canzoni” accattivanti e vitali.
La voce di graffiante e duttile di
Giulio Garghentini, già ammirata nel suo eccellente “
Believe”, intride di
feeling e di energia un programma che non esito a definire un’imponente dimostrazione di forza e intensità compositiva, alimentata dalla “storia” dell’
hard melodico e tuttavia assolutamente priva di manierismi.
La prova del chitarrista
Enrico Modini rappresenta altresì un autentico prototipo di ficcante cromatismo strumentale, ma è la
performance complessiva a stupire per maturità e misura, ratificando con decisione i termini della considerazione iniziale di questa disamina.
Sono sufficienti poche note di “
Days in blue” per intuire il valore dell’opera … suoni nitidi e potenti (registrazione e
mixing curati da
Mario Percudani e
Daniele Mandelli e masterizzazione affidata ad
Alessandro Del Vecchio) al servizio di una struttura melodica estremamente contagiosa consentono di destare immediatamente l’attenzione dell’astante appassionato, sempre avida di questi livelli di partecipazione emozionale.
Una brama ampiamente soddisfatta anche dalla successiva “
Mine mine mine”, dal
refrain euforizzante, dalla ballata “
Scared to be loved”, impregnata di una sagace vena intimista, e da una “
Salvation” in cui si sprigiona nuovamente tutta la carica trainante di una formazione che in questo specifico “fondamentale” dimostra di non temere nemmeno il confronto più impegnativo.
Veramente speciale si dimostra poi “
Revolution”, enormemente seducente per come mescola incisività e melodramma, e lo stesso appellativo va assegnato a “
River of love”, un altro momento di toccante evocazione sentimentale, e a “
Liars”, con il suo brillante arrangiamento capace di tracciare linee soniche di vasta suggestione.
Un’ulteriore bella dose di vibrazioni romantiche le procura “
Land of freedom”, mentre con “
Love is possession” e “
The ghost “ è di nuovo la parte maggiormente
gaudente dell’apparato
cardio-uditivo a essere sollecitata, inducendo la copiosa produzione di benefiche dopamine.
Con “
The wildest season” i
Dream Company s’inseriscono con prepotente autorevolezza nel panorama dell’
hard di classe contemporaneo … ora sta a voi sostenerli come meritano in un’avventura musicale iniziata con un decollo verticale verso l’
Olimpo del settore.
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