Ero poco più che 20enne quando mi abbeveravo di ogni sorta di metal dalle numerose e prolifiche radio locali romane, quando internet era un miraggio e l'unico modo di scoprire qualche chicca o avere degli ascolti in anteprima risiedeva nell'etere, addirittura televisivo con quella trasmissione che era "
Ottava Nota" quando
Richard Benson non era ancora divenuto una macchietta a suon di polli vari.
Tra le varie "
Metal Massacre" del grande
Baffo, "
Overdrive" del
Fuzz e "
Brutal Noise" di
Cristiano Borchi, ve n'era una che riscuoteva una mia morbosa attenzione, ossia "
Visioni Underground" condotta da
Marcello D'Urso (se la memoria non mi inganna, sono passati 22 anni) in cui venivano mandate in onda le realtà più interessanti e valide del sottobosco italiano.
In questo programma assurdo ed affascinante trovava spazio sovente del materiale estratto da "
Religious as Our Methods", opera prima dei
Deviate Damaen, a metà tra un gothic rock, un black metal soffuso, un istrionico avantgarde, costantemente in bilico e sempre beffardamente pronto a ritrarsi non appena l'incauto ascoltatore tentasse di accostare una definizione, un'etichetta in maniera ferma e costante.
Ma oltre alla musica quello che incuriosiva era la presenza, mai approfondita se seria o teatrale, di un sacerdote che ne disquisiva le argomentazioni, tra lugubri registrazioni in chiese sconsacrate, interviste perlopiù incomprensibili e ancora è fisso nella mia mente il mantra "
dvra crvx". Senza dubbio la posizione della band, mai prona ai "miti consigli" del politically correct, ed i temi trattati lasciavano presagire una grande cura per i dettagli ed una preparazione maniacale in ogni aspetto - musicale sì ma anche lirico - del loro disco.
Sfortuna, o semplicemente caso, volle che a me non sia mai interessato il lato dei testi, delle idee, dello schieramento politico, razziale, religioso o sessuale delle band che ho ascoltato prima e recensito poi nella mia vita, con il rammarico di non poter attribuire le giuste lodi a chi ha profuso così tanto studio ed impegno in un'opera, così com'è questa "
In Sanctitate, Benignitatis Non Miseretur!" - tra poco ci arriviamo - rispetto a chi magari tra un "
fuck yeah motherfucker" ha impiegato 1 minuto per scrivere i testi di un disco intero.
Questo ha però anche l'altro lato della medaglia che è rappresentato semplicemente dal fatto che non ho pregiudizi di merito se una formazione ha posizioni poco condivisibili dalla massa (cosa che attualmente potrebbe essere già da sola un pregio visto la deriva che il mondo ha preso...) o addirittura sconvenienti, immorali e blablabla, tant'è che detesto il politically correct o non per questo non apprezzi musica che viene da persone detestabili, sataniste o altro.
Per il sottoscritto, al di la' delle convinzioni personali che lì restano, parla la musica e quella solamente. E la musica dei Deviate Damaen è come sempre affascinante, ben realizzata, intrigante ed ammaliante. Certo, anche assai ostica e bizarra ma è anche e soprattutto per questo che si eleva dalla media ed offre una particolare soddisfazione per chi abbia interesse ad approfondire, anche grazie al completissimo booklet di ben 32 pagine (con illustrazione di
Mario "The Black" Di Donato), all'ottima produzione, ai tantissimi ospiti che arricchiscono un'opera complessa ma ottimamente strutturata, anche grazie ai tre anni impiegati per partorirla "
in giro per eremi, cattedrali, cripte, [...] anfratti montani e bunker germanici della II guerra mondiale".
Molta, moltissima recitazione, liricismo ed ambientazione teatrale, presente nell'affascinante e mistica "
Fratelli d'occidente, salviamo noi stessi dall'estinzione!", uno dei brani più riusciti del disco con il suo fervore apocalittico, forse esagerata nella lunghissima intro "
L'angelo preferito, il primo insorto, il più antico dannato", ma il metal tout-court non manca assolutamente anzi probabilmente questo "
In Sanctitate, Benignitatis Non Miseretur!" è il disco più "metal" dei Deviate Damaen e con meno eccessive stravaganze, con l'unica conclusiva "
L'urlo del cappuccino" decisamente troppo elevata per un mediamente normodotato come il sottoscritto.
Per il resto è notevole l'abilità di passare da sfuriate a-la black metal davvero efficaci come "
Font Near the Ossuary", alle marzialità doom di "
Tethrus" e la coinvolgente "
Sacre gesta cavalcano il metallo / Heilige Taten reiten das Metall" con cantato in tedesco assolutamente funzionale al risultato finale e per nulla pretenzioso, campionamenti di citazioni di altre opere, film, brani, fino a sfociare in sensazioni synthpop anni '80 (come nella meravigliosa "
Aspetterò l'Altrove"), sonorità industrial ed elettroniche, il tutto prodotto e volontariamente reso molto epico, con una grandeur che sinceramente mai avevo riscontrato così spiccata. Ed azzeccata.
Sicuramente una proposta controcorrente, per pochi. Ma per questo giocoforza più elevata. Arte libera, a patto che lo sia da ogni parte.