Da buon scribacchino ampolloso e ridondante quale so fin troppo bene di essere, ammetto di nutrire un debole per aforismi e citazioni letterarie piazzate in apertura di una recensione.
A questo giro ho deciso di avvalermi di un esimio filosofo e drammaturgo (semi)contemporaneo, che in occasione di una indimenticabile intervista ebbe a sostenere che la propria squadra dovesse giocare in modo “
spregiudicato e pregiudicato”.
Grazie
Trap, ti stimiamo e amiamo.
Ebbene, sappiate che la perla di saggezza ermetica del
Giovannino nazionale calza a pennello col
debut dei
Flukt.
“
Darkness Devour”, infatti, è un lavoro
spregiudicato nel riproporre pedissequamente tutti gli stilemi del
black metal più classico e ferale. Stilemi dai quali la compagine norvegese non intende scostarsi di un millimetro nemmeno per un istante dei 34 minuti di durata del
platter.
D’altro canto, parliamo di un genere che non necessita giocoforza di spinta innovativa o afflato sperimentale, bensì di attitudine, solidità compositiva e malignità.
Sotto questo profilo, difficile imputare al giovane quartetto pecche particolari: che si tratti di violente grandinate di
riff dissonanti (l’
opening track “
Serpent”, la belligerante “
Einsatz”) o di episodi più sulfurei e ragionati (la conclusiva “
Trespass the Devil’s Playground” e “
No Return”, forse la migliore del lotto), i
Flukt dimostrano di saperci fare.
Purtroppo, “
Darkness Devour” è altresì un lavoro
pregiudicato dal florilegio di uscite eccellenti in campo
black metal che hanno contraddistinto il 2019.
In tempi di vacche magre, mi sarei sentito di consigliare l’album agli amanti delle sonorità più nere; oggidì, volendo stilare un’ipotetica lista della spesa, potrei riempire una facciata con nuove uscite più meritorie di quella in discussione.
Scrivendo piccolo.
Non aiutano la causa alcuni elementi “di contorno” poco incisivi (la produzione, l’
artwork di copertina) ed un paio di episodi sorvolabili (mi sovvengono i prevedibili strappi ritmici di “
Curse of the Nephilim” e la fiacca progressione melodica della strumentale “
Azrael”).
I completisti, ad ogni modo, sono avvertiti: “
Darkness Devour” è un esordio discreto, che pone solide basi per una carriera non avara di soddisfazioni -benché non strettamente economico-commerciali, che ve lo dico a fare-.
Per chi ama le sonorità più calligraficamente
old school a cavallo tra
Dark Funeral e (soprattutto)
Marduk, dunque, un ascolto è consigliato; quanto ad acquistare o meno il disco, mi rifaccio ancora una volta all’immenso
Trapattoni, secondo cui “
non compriamo uno qualunque per fare qualunquismo”.
Amen.
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