Per chi segue i
Signum Regis dal loro esordio, come il sottoscritto, c’era molta curiosità ed anche, consentitemelo, un pizzico di timore, intorno a questa nuova uscita discografica che arriva dopo due ottimi dischi come The Reckoning e Decennium Primum. Perchè parlo di timore nonostante le indubbie capacità di cui sono dotati tutti i membri del combo di Bratislava? Perchè, per assurdo, talvolta riscuotere i consensi riesce meglio ad una band nuova, che può contare sul classico effetto sorpresa, piuttosto che ad un gruppo (come i nostri) che da una decade sforna regolarmente dei buoni dischi e di conseguenza, ogni nuovo album comporta una certa componente di rischio, potendo potenzialmente coincidere con il classico “incidente di percorso”, episodio pressochè inevitabile nella carriera di una band.
Beh, state pure tranquilli, i nostri ragazzacci slovacchi, che in questo lavoro si presentano con un nuovo interessante frontman che risponde al nome di
Jota Fortinho a rimpiazzare il precedente Mayo Petranin, non hanno assolutamente deluso le attese nemmeno questa volta, attestandosi su canoni di song-writing assai elevati, potendo contare su una notevole freschezza creativa, figlia forse di un’invidiabilissima libertà compositiva e di un’ispirazione sempre ai massimi livelli (dote assai rara ai giorni nostri).
A fronte di quanto sopra esposto appare evidente che
The Seal Of A New World è davvero un album di pregevole fattura, coinvolgente dall’inizio alla fine, con il tipico sound della band, un power arricchito da riffs taglienti ed assoli incisivi come pochi (la opener
Kings Of The Underground è un chiaro manifesto di ciò che si andrà ad ascoltare nei successivi 60 minuti), infarcito ora di melodie inquietanti (come nella bellissima
City Of God) ora invece di refrains e cori di facile presa che conferiscono epicità ai brani (vedasi
A Memory o
Never Surrender). Vi sono poi delle tracce che sembrano virare verso territori tendenti all’heavy-thrash e, queste influenze cascano a pennello, rendendo l’album più vario che mai, perciò ascoltare pezzi come
Prisoner’s Energy, la title-track o la conclusiva
Scheme Of Lies è un piacere per le orecchie, ma i
Signum Regis in questo disco non si fanno (e soprattutto non CI fanno) mancare proprio niente, vi sono difatti anche dei richiami neoclassici di “Malmsteeniana” memoria nella affascinante
Let Freedom Ring ed ovviamente non poteva mancare poi una sana spruzzata di prog metal nella struttura di
Phantasmagoria, un pezzo singolare, raffinato come pochi, grazie soprattutto alle sapienti doti tecniche del chitarrista
Filip Kolus, autentico mattatore anche in
Fly Away.
Probabilmente l’unico passo falso del disco è la ballad, intitolata
Shalom, che, nonostante le buone intenzioni, soprattutto sul finale, dove si registra un’impennata di intensità emotiva, nel complesso si rivela assolutamente poco incisiva ed inadatta ad un album cosi bello e coinvolgente che a conti fatti, conferma i
Signum Regis sui buoni livelli qualitativi raggiunti in questi anni.
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