Ce l’aveva “promesso” in un’interessantissima intervista di qualche anno fa, ma vista la lunga attesa avevo cominciato a credere che gli innumerevoli impegni di
Alessandro Del Vecchio come compositore, produttore e musicista l’avessero costretto ad accantonare il ritorno discografico dei suoi
Edge Of Forever.
E invece, quasi inaspettatamente ormai, ecco che “
Native soul” arriva a deliziare gli apparati
cardio-uditivi di tutti quelli che, come il sottoscritto, considerano “
Another paradise” (il primo albo degli
EOF completamente “italiano”, arrivato dopo i due eccellenti lavori cantati da
Bob Harris degli Axe …) una vera “pietra angolare” dell’
hard melodico tricolore, capace di consolidare in maniera significativa la credibilità internazionale della nostra “scena”, per anni messa a dura prova da scarsa professionalità, dall’esterofilia congenita dei
rockofili del
Belpaese e da giudizi allogeni pieni di preconcetti.
Con il supporto di un rinnovato manipolo di valorosi sodali e un prestigioso ruolo da autentico
guru del settore conquistato “sul campo”,
Del Vecchio affronta il ritorno al
monicker che tanto ha fatto per la sua affermazione con inusitata passione ed enorme intensità espressiva, arrivando addirittura a superare le inevitabili vertiginose aspettative con cui il pubblico accoglierà l’opera.
Non è difficile, infatti, riconoscere che nonostante la notevole competenza esecutiva dei suoi attuali compagni di avventura (
Aldo Lonobile di fama Secret Sphere e Death SS,
Marco di Salvia, membro di Hardline e Kee Of Hearts, oltre al “fedele”
Nik Mazzucconi), sia proprio l’interpretazione di
Alessandro, impregnata di
feeling e di un’assoluta partecipazione emozionale, a “fare la differenza” in un disco in cui l’aspetto spirituale dei temi trattati funge evidentemente da efficace propellente.
Il resto lo fa un
songwriting incisivo e maturo, ricco di colore e di tante diverse sfumature sonore, affiancato a un lavoro minuzioso negli arrangiamenti, eleganti e perfettamente calibrati tra adescamento e grinta.
Collocare in apertura di scaletta un brano (splendido, per la cronaca …) cantato “a cappella” come “
Three rivers”, dimostra coraggio, libertà e risolutezza (in altri tempi si sarebbe addirittura potuto parlare di un piccolo “suicidio commerciale” …) e se la
title-track e “
War” ardono di sfarzoso
hard-blues, a “
Promised land” è affidato il compito di dipingere sconfinate atmosfere “adulte”, materializzandole direttamente di fronte ai nostri timpani inebriati.
Scintillanti scorie di
class-metal californiano illuminano le cromature soniche di "
Carry on”, “
Take your time” e "
I made myself what I am” conquistano con un’enfasi tipicamente scandinava (e con l’occasione spendiamo anche un sentito ricordo per il compianto
Marcel Jacob - di fama
Malmsteen, Talisman e Last Autumn's Dream - che produsse il debutto dei nostri …), mentre in “
Dying sun” è l’arma dell’immediatezza a tentare, con buoni risultati, di affondare nei sensi degli appassionati del genere.
La profonda vena intimista di “
Shine” rappresenta il
climax emotivo di un programma perfezionato dal magniloquente tocco melodrammatico di “
Wash your sins away” e da una “
Ride with the wind” ancora una volta affine al
modus operandi del migliore
Yngwie Johan Malmsteen (o dei Rainbow, se preferite), immortalato in quei rari momenti in cui è riuscito a svincolarsi dall’autocompiacimento personale.
Con “
Native soul” gli
Edge Of Forever sfoderano una prestazione “impressionante”, capace ancora una volta di mettere in “soggezione” tanti loro illustri e blasonati colleghi, molti dei quali, guarda un po’, per conservare intatta nei tempi recenti la propria levatura artistica, hanno avuto bisogno di avvalersi di uno straordinario talento
made in Somma Lombardo … non credete anche voi che tutto ciò sia semplicemente fantastico?