Prima produzione sulla lunga distanza per i milanesi Suburban Base, un sorprendente quintetto dedito ad un interessante alternative emo-rock, con sporadici sconfinamenti d’estrazione “metallica”.
L’approccio emo dei nostri mi dà l’impressione di essere più interessato a recuperare in forma personalizzata alcune delle caratteristiche storiche del genere, dove “l’energia” o in ogni caso un certo stato costante di tensione emozionale rimpiazzava le melensaggini pop che abbiamo invece visto contraddistinguere la frontiera più recente del settore.
Trame sonore dove trovano largo spazio melodia, introspezione e malinconia, ma anche rabbia controllata e chitarre taglienti che sgorgano con naturalezza dalla bella voce di Abele Sangiorgio e dalle corde di Giovanni Belli e Andrea Ferrari, con quest’ultimo che supporta anche il suo vocalist in pregevoli e accurate stratificazioni corali.
“The prophecy”, “Stolen lies”, “The style of rising again” (con un piacevole apporto tastieristico), “Roaring within ourselves”, l’incalzante “Set my teeth”, “The run of the world” (quasi una sorta di Red Hot Chili Peppers in preda ad un trip psychedelic-pop-core), “Sadness of autumn” (ottima!) e gli strappi collerici di “Authentic life”, ma pure la maggiore spigliatezza di “Epiphany”, sono buoni esempi di come inquietudine, sensibilità, delicatezze melodiche e anche un’indispensabile carica, possano rendere una musica che sommariamente sembra rivolgere lo sguardo a stilemi piuttosto usurati, ancora piuttosto convincente, gradevole ed avvincente, grazie ad una considerevole capacità e fluidità compositiva e ad ottime facoltà interpretative e comunicative.
Impossibile, poi, non citare “New last day”, un gioiello orchestral-alternative ad alto coefficiente drammatico, con qualche rimando alle progressioni ampollose e carismatiche dei Muse e la presenza di Gianmario Ragazzi dei Matmata in veste di ospite: un pezzo splendido, immediatamente irretente, perfetto per un eventuale singolo, anche se forse non straordinariamente rappresentativo del Cd (e del gruppo) nella sua reale essenza.
“Sublimation” è, infatti, un disco che complessivamente dà il meglio di sé ascolto dopo ascolto, che dandogliene la possibilità, cresce in maniera esponenziale e alla fine appare davvero brillante nel sapere alternare cuore e cervello e nell’avviluppare l’ascoltatore in una “ragnatela” dalla quale non è facile liberarsi.
Il rock nostrano può contare su un’altra solida realtà, non resta che sostenerla come merita.
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