Con un titolo apparentemente “rubato” ai misconosciuti Brownsville Station (quelli di “Smokin’ in the boys room”, poi ripresa con successo dai Motley Crue, per intenderci), tornano alla ribalta discografica i grandi Def Leppard, il cui stato di forma generale e brillantezza “fisica” abbiamo potuto apprezzare durante la recente data milanese del Gods Of Metal.
“Yeah!” è, come ormai piuttosto noto, un Cd di sole covers e questa scelta ha ovviamente scatenato una serie di scetticismi e discussioni, coinvolgendo sia gli addetti ai lavori sia i tanti sostenitori della band britannica, autrice in passato di vere e proprie gemme di heavy rock dalle imponenti velleità commerciali.
Insomma, si tratta di un omaggio sincero ai gruppi e ai brani preferiti dalla band, magari anche importanti dal punto di vista “formativo” o del segno evidente di una crisi creativa (che con il decimo studio album sembrava essere stata superata), affiancata al tentativo di non fare perdere completamente l’interesse dei fans nei loro confronti, con un periodo d’assenza dalle scene troppo prolungato?
Forse un po’ tutte queste cose, ma quello che conta è che questo dischetto ci permette di (ri)ascoltare un discreto numero di belle canzoni di “ieri” (alcune delle quali non straordinariamente conosciute), interpretate con professionalità, verve e passione da un gruppo (un plauso particolare all’ugola sempre scintillante di Joe Elliot) che mantiene una discreta credibilità anche quando si misura con brani all’apparenza lievemente lontani dalla sua sensibilità artistica.
Accanto alle famose “20th Century Boy” dei T. Rex, “Hanging on the telephone” portata al successo dai Blondie (ma a sua volta una rilettura dei The Nerves, come argutamente rilevato dal collega Marando, nel Report del GOM che trovate su queste stesse pagine), “Hell raiser” degli Sweet (ricordando anche il tributo già esibito con “Action” in “Retroactive”, evidentemente un vero “modello” per il Leopardo), “Waterloo sunset” dei The Kinks, “Street life” targata Roxy Music, “Don’t believe a word” dei seminali Thin Lizzy e “Stay with me” dei Faces, ritroviamo pure una “Rock on” di David Essex, “No matter what” dei Badfinger, “He’s gonna step on you again” di John Bongos, canzoni e musicisti non esattamente “popolari”, e altresì la decisione di affrontare hits leggermente “minori” (a livello di notorietà “universale”) di nomi storicamente fondamentali quali Electric Light Orchestra (“10538 Overture”), David Bowie (“Drive-in saturday”), Free (“Little bit of love”) e Mott The Hoople (“The golden age of rock ‘n’ roll”) sembra deporre a favore di una vocazione “riverente” abbastanza genuina (sarebbe stato molto più facile e probabilmente “censurabile”, per esempio, decidere di utilizzare una “All right now” per onorare il talento di Paul Rodgers e Paul Kossof, o una “All the young dudes” per celebrare Ian Hunter e, di conseguenza, il Duca Bianco!).
Nonostante abbia una sorta di diffidenza “congenita” nei confronti di questo tipo di operazioni, “Yeah!” è alla fine, senza farsi troppe “paranoie”, abbastanza godibile, un bel ripasso di “storia”, che rivela pure qualche lato “inedito” della personalità dei “ragazzi” di Sheffield, i quali danno l'impressione spesso di voler “piegare” la loro caratteristica attitudine musicale allo spirito originale delle canzoni coverizzate, senza tentarne un’interpretazione “eccessivamente” personale, forse per un inconscio timore di compiere atto di “lesa maestà” e di snaturarle, rendendole troppo diverse dalla versione conservata e indelebilmente impressa nella loro memoria.
Resta la questione relativa a come, in un mercato iper-saturo come quello attuale, un disco del genere possa trovare uno spazio significativo, anche perché i supporters dei Def Leppard si aspettano molto di più dai loro “eroi”, davvero molto di più!
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