Quel che è sicuro di questo nuovo album di
Liv Sin è che si tratta di un lavoro di livello. Lo stesso livello di decibel, lo stesso livello di bpm, lo stesso livello di uniformità sonora per ben sette tracce. Tanto che possono sembrare o variazioni di un unico tema, di un’unica idea musicale, o una sorta di brano progressive se non fosse per le pause tra un pezzo e l’altro. Si fa una certa difficoltà a distinguere una canzone da quella che la segue o la precede, tanto che ad un certo punto hai il dubbio di aver inserito per sbaglio il repeat sulla traccia. E questa sensazione la si ha dopo diversi ascolti dell’intero album e solo ad un certo punto, quando lo conosci bene (forse anche troppo) inizi un po’ a riconoscere delle piccole differenze tra i singoli pezzi.
Ma d’altra parte viene da sé che le prime sette tracce (su dieci!) di questo album sono dei pezzi tiratissimi tra il thrash e il power, da cui puoi pescare veramente ad occhi chiusi se stai creando una bella playlist molto speed senza conoscere per bene questa raccolta. La voce potente di
Liv Jagrell entra con grevità sulla musica come poche altre cantanti hanno la possibilità di fare, non cercando contrasto ma armonia con le chitarre graffianti di
Patrick Ankermark e
Chris Bretzell.
Finalmente si arriva alla traccia otto, “
Death Gives Life Meaning” che spezza la monotonia dei ritmi e introduce qualcosa di nuovo rispetto quanto sentito finora. Qui lo stacco col resto dell’album è netto e questo è forse il brano migliore di tutti. Ma non è comunque quel pezzo che sei spinto a risentire subito, di nuovo, appena finisci di ascoltarlo.
Arrivati alla fine dell’album con “
Ghost in the Dark”, che è una sorta di ballad o comunque un pezzo in cui i bpm calano drasticamente, e “
Dead Wind Intermezzo” magari si ha anche la voglia di riascoltare “
Burning Sermons” di nuovo. Ma magari anche no.
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