Non ero del tutto convinto di aprire con una serie di "note alla lettura", ma le ritengo utili per chiarire preliminarmente il mio pensiero e il mio approccio a questi dischi; quindi proviamo a partire così:
1) ho sempre considerato i due
The House of Atreus come un (capo)lavoro organico e inscindibile, per questo ho deciso di scrivere di entrambi all'interno di un'unica recensione;
2) si tratta dei dischi grazie ai quali ho conosciuto e mi sono innamorato dei
Virgin Steele (quei Virgin Steele), per cui è inevitabile per me attribuire loro un elevato valore affettivo, che si somma a quello prettamente artistico;
3) eviterò di entrare in disquisizioni rispetto a quello che i VS erano una volta e quello che invece sono oggi, né mi interessa fare raffronti tra i capolavori del passato e la produzione più recente;
4) allo stesso modo mi terrò alla larga dalla tentativo (che sarebbe comunque inutile) di comprendere i motivi del megalomane declino artistico di
David DeFeis, incontrastato e dispotico sovrano del regno.
Smarcate le premesse ecco cosa troviamo all'interno di questi tre dischi (Act II, come sicuramente già sapete, è infatti un doppio) per oltre 160 minuti complessivi.
TeatralitàParliamo di un concept che a livello lirico si basa sull'
Orestea, trilogia di tragedie greche scritte da
Eschilo nel V secolo a.C.; trattandosi di tragedie, non ci aspettiamo una storia allegra e leggera, non vi pare? Infatti la trama (molto sintetizzata) più o meno è questa:
Agamennone (re dell'Argolide e capo supremo degli Achei durante la guerra di Troia) ritorna a casa dopo la suddetta guerra portandosi dietro come sua concubina
Cassandra (principessa troiana e celebre profetessa inascoltata); sua moglie
Clitennestra (sorella di
Elena, che era la sposa di
Menelao - fratello di Agamennone - nonché la donna più bella del mondo, il cui rapimento da parte di
Paride - fratello di Cassandra - aveva provocato la già citata guerra), non la prende proprio bene e a un certo punto ammazza sia Agamennone che Cassandra (che ovviamente aveva previsto tutto); Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, non reagisce nel migliore dei modi e uccide la madre; le
Erinni (terrificanti personificazioni femminili della vendetta) iniziano a perseguitare il matricida, che però alla fine viene assolto dal tribunale dell'Areopago (il collegio delle supreme magistrature).
Ora, sarà che avendo frequentato il liceo classico mi era toccato studiare l'Orestea e quindi l'idea di trovarla trasposta in musica (metal poi!) mi sembra una figata fotonica, sarà che questa storia così intricata e sanguinosa esercita un suo fascino ancestrale, sarà che DeFeis mette in scena tutti i personaggi come se si trattasse di una vera e propria opera, smazzandosi peraltro da solo le parti vocali di ogni personaggio, ma insomma ritengo che in quanto a teatralità siamo messi piuttosto bene.
EpicitàEpos è il termine in lingua greca che significa "parola", per poi assumere una valenza più ampia grazie a diverse declinazioni; io non so quale sia la vostra idea di epicità (Conan il barbaro che si staglia fiero con il suo spadone? La battaglia tra vivi e morti nell'ultima stagione de Il Trono di Spade? Leonida che in 300 urla "
Questa è Sparta!" mentre fa volare l'ambasciatore persiano giù nel pozzo?) nè tanto meno di epic metal (basta che non diciate che lo sono i
Rhapsody, neanche quelli belli dei primi dischi), in ogni caso qui dentro se ne trova a piene mani.
Su questa base imprescindibile poggia una notevole varietà stilistica che si esprime tramite atmosfere in grado di volta in volta di sottolineare la drammaticità, la violenza, i sensi di colpa che permeano l'intera storia; le singole tracce si susseguono così in un'alternanza di pezzi tirati, lenti, aggressivi, magniloquenti, senza escludere intermezzi e momenti quasi recitati da un DeFeis che spadroneggia in piena coerenza con la struttura (metal)operistica; inutile in tal senso citare questa o quella canzone, perché si andrebbe a snaturare l'essenza stessa del concept (sia lirico che musicale).
David DeFeisNon c'è niente da fare, i Virgin Steele sono la sua creatura e David qui (anche più che altrove) non calca la scena, la domina.
Si sente lontano un miglio che c'è lui dietro ogni scelta, ogni composizione, ogni sussurro e ogni urlo.
Considerando la sua formazione musicale, le sue passioni e tutto quello che è venuto dopo i due The House of Atreus, credo di poter affermare con ragionevole convinzione che qui DeFeis, sapientemente affiancato dal fido e validissimo
Edward Pursino (che si occupa di tutte le parti di basso e di chitarra), abbia raggiunto il suo apice (per alcuni pure scollinandolo), dando sfogo e corpo ad un progetto ambizioso, forse arrogante, sicuramente meritevole di rispetto.
In conclusioneChe somme si possono tirare rispetto a così tanta (forse troppa) roba? Spero di aver trasmesso cosa questi dischi rappresentano per me e perché.
Molti, so, li considerano eccessivamente prolissi e dispersivi, apprezzandoli solo parzialmente o presi a piccole dosi; altri, pur riconoscendone l'indubbio livello qualitativo, ritengono comunque superiori i lavori precedenti, quelli normalmente considerati storici e imprescindibili (i due
The Marriage of Heaven and Hell,
Noble Savage,
Invictus).
Io, nel mio piccolo, colloco la saga della Casa di Atreo su un piano diverso (non necessariamente migliore o peggiore), sorta di
unicum a cui attribuisco un suo preciso, specifico, enorme valore.
Dopo, nulla sarà più come
prima.
Recensione a cura di
diego