Per iniziare la recensione partirei proprio dal titolo del disco perché con tutta sincerità non avevo la più pallida idea di cosa fosse l’Apofenia (il tecnico Industriale ahimè ha lasciato enormi lacune che sto pian piano colmando). Ho cercato su internet e riporto pedissequamente:
Per Apofenia (dal greco apo, cioè “via da” e phainein, “mostrare, far vedere”) si intende la percezione spontanea di connessioni significative tra fenomeni che non hanno alcuna relazione tra loro.
Tutto chiaro adesso vero? Insomma potremmo semplificare dicendo che praticamente in questo caso si intende “Come il nostro cervello vede il mondo”. Mi piace un casino sta cosa e soprattutto fa schizzare le aspettative fino al subconscio neurale sperando soprattutto di trovare parole chiarificatrici nei testi delle canzoni. Esatto nei testi, perché rispetto ai primi 2 LP sostanzialmente strumentali tranne l’inserimento di parti recitate e qualche vocalizzo qua e là, nell’ultima fatica dei laziali (inteso geograficamente ovviamente) troviamo anche parti cantate, affidate soprattutto ad ospiti più o meno noti dell’underground progressive (e non) Tricolore. In primis sottolineerei la presenza in 2 brani di
Alessandro Corvaglia grande voce calda e duttile che si sposa alla perfezione con le atmosfere rock progressive. “Scoperto” dal fenomenale Fabio Zuffanti ed ingaggiato come vocalist nel gruppo “La Maschera di Cera” (in assoluto tra i miei Italiani preferiti)
Corvaglia è un’assoluta garanzia. Le altre parti cantate sono affidate a
Jenny Sorrenti (esatto proprio lei, la sorella di Alan) e ai bellissimi vocalizzi di
Jenna “Sharm” Holdway nell’ultima traccia (voce pulita e melodiosa che ricorda un po’ Enya)
Passiamo alla musica adesso, perché
Il Giardino Onirico nonostante abbia un’età media relativamente bassa, dimostra un gusto ed un amore per il progressive settantiano veramente delizioso e lo fanno mettendo la propria firma, avendo una propria identità e modernizzando la proposta evitando così il problema diffuso di sentirsi etichettati come cloni o musicalmente ritriti. Se proprio dovessi trovare un gruppo di riferimento, giusto per dare al
Giardino una collocazione un po’ più precisa penserei sicuramente ai Transatlantic (con tutto il dovuto rispetto per i suddetti mostri sacri). L’idea di un concept ovviamente è stra-abusata ma il tema che governa il viaggio è particolarmente intrigante e gli intrecci musicali spesso cupi e intensi ci portano esattamente dove vogliono farci sbarcare i nostri. Quindi la musica arriva eccome, ma per recepirla appieno è necessario più di un ascolto per non perdere proprio nulla del significato finale del messaggio che rimarrebbe altrimenti criptato nel nostro emisfero cerebrale. Troviamo tutte le sfaccettature possibili del genere, lunghe suite (tutti i pezzi tranne 1 sono abbondantemente sopra i 10 minuti), la classica Prog-Ballad e poi innesti Jazz, spruzzate Prog Metal ed un po’ di elettronica che non guasta mai. Insomma spaziano con facilità su tanti fronti, dando al disco freschezza vivacità e divertimento (troviamo anche un bell’assolo alla Toquinho per non farci mancare proprio nulla). Se dovessi trovare qualcosa che non mi ha convinto appieno è la troppa prolissità in alcuni passaggi soprattutto strumentali, in cui il
Giardino si attorciglia un po’ su stesso creando un nodo intricato che non sfigurerebbe nel tempio di Gordio.
E’ stato fatto un passo avanti in questo terzo disco e si sente, però per fare un definitivo balzo servirebbe un ulteriore dose coraggio. I mezzi ci sono, le idee sono chiare così come la direzione intrapresa, bisognerebbe secondo il mio modestissimo parere osare più sui testi (in questo disco scritti da
Corvaglia) e autocompiacersi leggermente meno. Perché come diceva Ludwig Mies van der Rohe: “Less is More”, e per chi fa musica deve essere un assioma.
Brano Migliore : Scivolosa SimmetriaRecensione di Edoardo “Amen” Turati
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