Revoltons - Underwater Bells Pt. 2: October 9th 1963 Act.I

Copertina 9

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2020
Durata:52 min.
Etichetta:Sleaszy Rider Records

Tracklist

  1. DANGER SILENCE CONTROL
  2. THE STARS OF THE NIGHT BEFORE
  3. SLOWMOTION APOCALYPSE
  4. MARY AND THE CHILDREN
  5. OCTOBER 9TH 1963
  6. ERASE! NEW EARTH LORD!
  7. HYPNOS AND THANATOS
  8. PRIMAL SHOCK
  9. THE POWERLESS WRATH
  10. CRIMINAL ORGANISM
  11. GRANDMASTERS OF DEATH
  12. THROUGH THE YEARS

Line up

  • Alex Corona: guitars
  • Matt Corona: guitars
  • Roberto Sarcina: bass
  • Elvis Ortolan: drums
  • Andras Csaszar: vocals

Voto medio utenti

Se il compito di un bravo recensore consiste nel riassumere in poche righe (a proposito, mi scuso sin dall’inizio per quanto mi dilungherò in questo caso, ma evidentemente NON sono un bravo recensore) le prime impressioni scaturite dopo l’ascolto di un disco, potrei sintetizzare il ritorno dei Revoltons, dopo ben 8 anni di assenza, definendolo tranquillamente un vero e proprio gioiello, o per meglio dire, un piccolo capolavoro nel suo genere!
Giudizio esagerato, potrà obiettare qualcuno, dettato dalla mia personalissima simpatia per una band che seguo dagli esordi? Si certo, questo può influire, e poi si sa che tutto è soggettivo, infine posso sempre giustificarmi coi miei eventuali detrattori, appellandomi al fatto che NON sono un bravo recensore (vedi sopra).
Banalità a parte credetemi, questo nuovo album, che rappresenta l’apice della maturità artistica della formazione friulana, oltre ad essere costruito magistralmente dal punto di vista musicale, ha il grande merito di riuscire a trasmettere dall’inizio alla fine, delle emozioni fortissime, figlie della tematica scelta per il concept. Siamo difatti dinnanzi al primo capitolo di un’opera dalla portata assai ambiziosa e lo si evince da subito, a partire dai due elementi-chiave visibili a occhio nudo: ovvero l’artwork, che ritrae fedelmente la causa di una delle più grandi tragedie avvenute nel nostro paese nel secondo dopoguerra e, ove vi fossero ancora dei dubbi in merito, il sottotitolo scelto per questo Underwater Bells Pt.2, ovvero October 9th 1963 – Act I, il giorno del disastro del Vajont.
Per quei pochi che non sanno cosa accadde quella notte, consiglio di andarsi a guardare i numerosi documentari presenti in rete, o il film “Vajont-La diga del disonore” di Renzo Martinelli. Comunque, sintetizzando i fatti, alle 22:39 del 9 ottobre 1963, si verificò una spaventosa frana in corrispondenza del monte Toc, sulla cui parete era stata costruita la monumentale diga della valle del Vajont (fiore all’occhiello dell’ingegneria italiana del dopoguerra) che avrebbe dovuto fornire un enorme quantitativo di acqua alla società elettrica nazionale. Quella sera, un consistente pezzo della montagna cedette nel lago artificiale sottostante, creando un’onda anomala che superò la barriera dell’opera architettonica riversandosi nella valle ad una velocità spaventosa, spazzando via intere comunità che si trovavano ai piedi dei monti, ignare di quanto stava accadendo e causando più 2500 morti! Fu una vera e propria apocalisse, che nel tempo è stata spesso e volentieri colpevolmente sottaciuta.
E’ un compito particolarmente delicato ricostruire con la musica, non solo la dinamica dei fatti, ma soprattutto riesumare le emozioni delle persone coinvolte, a maggior ragione in virtù del fatto che i membri dei Revoltons provengono proprio da quella zona del Friuli , quindi sono emotivamente e direttamente interessati dalla storia narrata. Per riuscire nell’impresa nel migliore dei modi, i nostri si avvalgono della collaborazione di numerosi special guests, tra cui spicca indubbiamente Blaze Bayley (ex frontman degli Iron Maiden), ma anche, tra gli altri, Michele Guaitoli (vocalist di Overtures, Ship Of Theseus, Kaledon, Visions Of Atlantis), Alessia Scolletti (voce femminile dei Temperance) e i chitarristi dei corregionali Elvenking, Aydan e Raphael.

IL CONCEPT:

Iniziamo a parlare dettagliatamente del disco, analizzandolo con una sorta di “track by track”, che sin dall’iniziale Danger Silence Control si rivela emozionante, ma anche dannatamente amaro, inevitabile conseguenza della tematica trattata. Questo primo brano è caratterizzato da solidissimi riffoni di chitarra di chiarissima matrice thrash ad opera dei sempre ottimi Matt e Alex Corona, mentre la sezione ritmica, a cura di Elvis Ortolan (batteria) e Roberto Sarcina (basso), picchia all’impazzata secondo i classici stilemi power. Le linee vocali infine, vengono risaltate dalla voce di Andras Csaszar (l’unico membro nuovo della band, sostituto dello storico singer Andro), il quale si rende autore di una prova maiuscola, in particolare per l’intensità emotiva con cui interpreta tutti i pezzi, qualità oggi sempre più rara, ma fondamentale per un disco del genere.
Con la successiva The Stars Of The Night Before si comincia a fare sul serio, entrando sempre di più nel vivo della tematica del concept. L’atmosfera, già precedentemente pesante, si fa sempre più tirata, cantato e chitarra vengono ulteriormente inaspriti, senza tuttavia trascurare la melodia, ne beneficia inevitabilmente il pathos, enfatizzato anche dal brevissimo, ma intenso, intermezzo Slowmotion Apocalypse, che introduce la successiva Mary And The Children, traccia profonda, densa di tensione, sia musicalmente che dal punto di vista delle lyrics, in cui viene sostanzialmente descritto lo stato d’animo, all’immediata vigilia del disastro, della popolazione locale, ben rappresentata dal protagonista della storia, che risiede con la moglie (Mary) ed i suoi bambini ai piedi di quei monti, che da sempre erano stati la sua casa, ma che ora considera una minaccia. L’uomo, che in quei giorni è costretto a stare lontano dal suo paese natale per lavoro, avverte da tempo degli strani presagi, il suo pensiero è costantemente rivolto alla sua terra, in particolare le sue inquietudini si concentrano esclusivamente su quella grandiosa diga che la sovrasta, fortemente voluta, nel nome del progresso (e del business), ma che sembra in perenne conflitto con la natura circostante. Non va dimenticato infatti che, sin dall’inizio dei lavori, vi erano state continue frane e cedimenti della montagna che, per sua stessa costituzione, appariva difficilmente gestibile e sembrava sfuggire al controllo umano, tanto che parecchi geologi ed esperti del settore, erano concordi nell’affermare che tale costruzione, inserita all’interno di un contesto simile, fosse un’autentica follia! Nei giorni immediatamente precedenti il disastro poi, la situazione era degenerata, tanto che alcune vie di accesso ai paesi circostanti siti ai piedi del Vajont erano state chiuse, si avvertiva quindi la tremenda sensazione di essere stati chiusi in una trappola senza via d’uscita, ma nonostante questo orrendo e claustrofobico stato d’animo, reso magicamente tangibile dalla musica, il protagonista cerca di reagire con il coraggio e la dignità che lo contraddistingue, facendo leva sull’amore per la propria famiglia (“I love you eternally”). Musicalmente c’è da segnalare l’ennesimo pazzesco lavoro chitarristico della “premiata ditta Corona”, sia in fase di song-writing, che di esecuzione.
Traccia n.5: October 9th 1963, è il giorno della catastrofe, che sorprendentemente non viene descritta attraverso un brano violento, ma anzi la band opta inaspettatamente per una soluzione molto più melodica ed introspettiva (retaggio forse del passato progressive dei Revoltons, a tal proposito, consiglio il loro ottimo album d’esordio, intitolato Night Visions, dell’ormai lontanissimo 2003). L’immane disastro difatti viene raccontato con un arpeggio di chitarra, che inizialmente è dolce, poi si fa cupo e successivamente sempre più drammatico, fino a quando in sottofondo si sentono le urla disperate di migliaia di persone che presto verranno spazzate via dall’acqua, e poi improvvisamente....il silenzio. In seguito l’arpeggio riprende mestamente il suo cammino e fa da sfondo ai notiziari internazionali che trasmettono sconcertati la notizia della tragedia, mentre parte della stampa italiana descrive l’accaduto in maniera fredda, superficiale e sorprendentemente sbrigativa, facendola apparire come un’inevitabile fatalità, denotando anche una palese assenza di tatto. E’ il caso del “Corriere della Sera” che, tramite la penna di Dino Buzzati, il giorno successivo scrive quanto viene ripreso fedelmente dalle lyrics: “Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi”. Nei secondi finali del brano si sente una voce femminile, magistralmente interpretata da Alessia Scolletti (probabilmente una sopravvissuta), che non crede ai propri occhi e non vuole arrendersi alla desolazione di quello spettacolo apocalittico (“Maybe it’s a dream, They’re alive! Maybe it’s a dream...”).
Purtroppo la traccia successiva intitolata Erase! New Earth Lord! si apre con un tristissimo “It’s not a dream....” e cancella ogni speranza, è successo davvero, quasi 3000 persone tra morti e dispersi, interi paesi rasi al suolo, non è rimasto più niente, tutto è stato cancellato, anche la fede! Prevale la tristezza ed un senso di solitudine perfettamente descritti dalla musica e dalle linee melodiche che sono caratterizzate da un tono affranto, specchio dello stato d’animo del protagonista che in questa tragedia ha perduto la sua amata famiglia.
La seconda parte del disco viene introdotta dal rumore di un elicottero, che probabilmente sorvola la zona del disastro, è l’inizio di Hypnos e Thanatos, ovvero le antiche divinità greche del sonno e della morte, immagini quanto mai azzeccate per rappresentare la tragedia avvenuta in tarda ora (“They will turn our dreams into our graves...”). Siamo al cospetto di un brano che si apre in maniera aggressiva, chitarre compresse, sezione ritmica per lo più martellante, ma a tratti sincopata e addirittura qualche strofa del cantato in growl, appare evidente che ora alla tristezza è subentrata una rabbia violenta, sensazione che prevale anche nella breve ma intensa sfuriata successiva intitolata Primal Shock, in cui l’aggressività cresce a dismisura, descrivendo un malessere impossibile da metabolizzare per il protagonista e che prosegue anche in The Powerless Wrath, ma qui, a livello di lyrics, accade qualcosa di nuovo e importantissimo, accanto all'ira incontrollata di chi ha perduto tutto in questo disastro e non riesce ad accettarlo, ci si comincia a chiedere se davvero è stata solo casualità, o se tutto questo avrebbe potuto essere evitato e, in tal caso, ci si interroga sull’identità dei possibili responsabili, che hanno colpevolmente trascurato certe situazioni di rischio, nel nome del profitto e a scapito del buonsenso (“Behind their papers, they cross their fingers...Behind their money, they can't see! They close their eyes and tragedy comes...".)
I dubbi cedono il posto alla triste verità nella successiva Criminal Organism, dal titolo perentorio, che non ha certo bisogno di spiegazioni, una classica cavalcata power metal, cruda nella musica e nel testo, con il suo tono fortemente accusatorio nei confronti di chi non ha impedito il verificarsi di questo disastro, ignorando i pericoli per le vite umane.
Con queste due ultime tracce tramonta definitivamente la precedente metafora del bicchiere e della tovaglia e la teoria della fatalità, rivelatasi a dir poco inappropriata, quanto accaduto è purtroppo molto più complesso, ed è indubbiamente più difficile da accettare, i colpevoli hanno un volto umano, ora il protagonista sa bene contro chi deve puntare il dito e scagliare la sua rabbia, va da sé che il suo senso di frustrazione, sebbene più mirato, è inevitabilmente destinato a crescere ulteriormente e trova il suo apice in Grandmasters Of Death, altro titolo emblematico, vera e propria “ciliegina sulla torta” del disco, pezzo in cui compaiono tutti gli special guests di cui si parlava precedentemente. Qui infatti il nostro personaggio, afflitto da una rabbia ormai fuori da ogni controllo, che rasenta la pazzia, vive, ma solo nella sua fantasia, una sorta di confronto immaginario, svoltosi prima del disastro, tra le diverse figure che individua come responsabili di quanto accaduto, ed emerge in particolare la personalità di Blaze Bayley, perfettamente a suo agio nelle vesti malvagie del vero e proprio "boss" del progetto che, accusato da vari geologi e giornalisti di essere un irresponsabile per la follia della sua costruzione, reagisce col classico atteggiamento arrogante dei chi è ammanicato coi poteri forti, rivendicando la propria onnipotenza e dimostrando un’insopportabile indifferenza nei confronti dei pericoli per l'incolumità della popolazione, nel nome del progresso (ma appare evidente che per lui ciò che conta sono solamente i suoi avidi interessi), mentre viceversa, gli fanno da contraltare alcuni scienziati (Michele Guaitoli), che invece avvertono l'insopportabile peso del terrore e delle responsabilità di quanto potrebbe accadere. Musicalmente si raggiunge l’apoteosi sul finale del pezzo, grazie alle chitarre di Alex e Matt a cui si aggiungono Aydan e Raphael, con il loro stile tipicamente elvenkingiano, ad impreziosire un brano camaleontico che entusiasma e stupisce grazie ai suoi repentini cambi di ritmiche e melodie, alcune delle quali sul finale, richiamano la prima parte di Underwater Bells dell’ormai lontano 2009!
I titoli di coda del primo capitolo di quest’opera (eh già, perché come si evince dal sottotitolo “Act I” e come confermatomi personalmente dallo stesso Alex Corona, nei piani della band è prevista una seconda parte..) sono affidati alla strumentale Through The Years, perfetto epilogo di un disco che, oltre che essere ottimamente suonato (ma sulle capacità dei singoli componenti non v’era dubbio alcuno), mette davvero i brividi, per la passione ed il commovente trasporto con cui riesce a far rivivere attraverso la musica, le emozioni per lungo tempo soffocate, di una tragedia troppo spesso dimenticata, e lasciata colpevolmente nell’oblio, riesumandone la pesante eredità che ci ha lasciato, insomma anche l’ascoltatore più distratto non può rimanere indifferente!



Recensione a cura di Ettore Familiari

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