Copertina 7

Info

Anno di uscita:2020
Durata:37 min.
Etichetta:Shadow Kingdom Records

Tracklist

  1. A BEAST AMONG US
  2. SELF-SCHISM
  3. A SINGLE OBOLOUS
  4. LEAVE THE LIGHT BEHIND
  5. CASKET OF SHAME
  6. THE WORLD THAT WAS

Line up

  • Brent Satterly: bass
  • Jason Pearce: drums
  • Alex Awn: guitars, synthesizers
  • Mike Erdody: vocals, guitars
  • Don Durr: guitars

Voto medio utenti

In termini generali, non mi reputo affatto persona facilmente influenzabile dal giudizio altrui.
Anzi, semmai vengo influenzato… al contrario: se mi si perdona il consueto snobismo culturale, la percezione di trovarmi in minoranza rispetto a un determinato tema non fa che rafforzare enormemente la persuasione di essere nel giusto.

Quando indosso la veste di scribacchino metallico, tuttavia, divengo di colpo meno altezzoso e sicuro delle mie convinzioni, tanto che la superficiale lettura di alcune trionfali recensioni del terzo full dei Temple of Void ha in qualche modo fatto vacillare le certezze sino ad allora maturate.
Nondimeno, la conoscenza del combo statunitense acquisita negli anni ed una serie ragguardevole di ascolti in cuffia hanno finito per rinsaldare le mie impressioni: “The World that Was”, per quanto mi riguarda, si attesta su livelli di molto superiori alla media delle proposte death / doom oggi in circolazione, ma non sui livelli di assoluta eccellenza che mi sarei atteso.

Parliamo di un parto discografico che, a livello di premesse, aveva scritto “top album” in ogni andito: due predecessori bellissimi, splendido artwork di copertina, entusiasmo iniziale a mille per una produzione che si palesa da subito stellare, primo grugnito di Mike Erdody -uno dei migliori growler che la scena possa offrire- sufficiente a farmi andare in brodo di giuggiole… e poi?

E poi, a fronte di cotanta grazia (si fa per dire) messa in mostra dall’opening trackA Beast Among Us”, qualcosa s’inceppa.
Già nella seconda “Self-Schism” qualche scricchiolio lo si inizia a sentire: prima porzione poco incisiva, seconda porzione di matrice funeral doom tirata troppo per le lunghe anche per il genere.

Dopo la breve parentesi acustica di “A Self Obolus”, tocca a “Leave the Light Behind” certificare la presenza di alcuni cedimenti strutturali nell’intelaiatura sonora ordita dai Temple of Void: più catchy nelle intenzioni, il brano risulta invero un rabberciato esperimento in salsa goticheggiante simil-Paradise Lost affossato da clean vocals poco incisive e da arrangiamenti di synth che sembrano estrapolati da uno sci-fi movie di serie B anni ’50.

Con la successiva “Casket of Shame”, pur senza gridare al miracolo, si torna nel seminato, grazie ad un possente incedere in mid tempo già udito altrove ma comunque godibile. Peccato si prosegua con melodie di chitarra e ritmiche prive di mordente; meglio, invece, la sepolcrale chiusura.
Molto meglio, da ultimo, la malinconica epicità della title track, ottimo suggello di un album, ahimè, con qualche ombra.

Presumo che per il botto definitivo basti portare un po’ di pazienza: i Temple of Void a mio avviso hanno tutto, ma proprio tutto, per imporsi come stella di prima grandezza nel firmamento del metal estremo underground.
Visto che, come scrivevo in premessa, nel ruolo di scribacchino sconto qualche insicurezza, innalzate la mia autostima: fatemi imbroccare un pronostico, e regalateci un maledetto capolavoro già col prossimo full.
Grazie di cuore sin d’ora.
Recensione a cura di Marco Cafo Caforio

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