Un anno esatto è passato dall’ultima release targata BLS e Zakk Wylde e compagni ritornano, freschi di un nuovo e ben più dignitoso contratto, con un nuovo album pubblicato da Roadrunner Records e dal titolo di Shot To Hell. Un solo anno tra l’uscita di un disco e l’altro può sembrare una distanza temporale minima in termini generali, ma non nel caso dei Black Label Society, band che nel giro di 7 anni ha pubblicato altrettanti dischi e per la quale evidentemente è oramai una prassi lavorare con scadenze così serrate. Lasciato il proprio pubblico con il discreto Mafia uscito lo scorso anno per Artemis, il nuovo lavoro dei BLS si accomuna al precedente non solo per un’altra pessima copertina ma anche, e questo di sicuro non farà la gioia dei vecchi fan della band, per un songwriting di certo gradevole e ad alcuni tratti accattivante, ma niente capace di far gridare al miracolo o ad una nuova giovinezza della formazione capitanata dal leggendario Zakk. Le 13 canzoni qui raccolte infatti rappresentano nuovamente una summa della discografia e dell’operato della longeva formazione, ma incapaci di regalare forti emozioni così come non accade da qualche anno a questa parte. Lo spirito possente e al tempo stesso carico di groove del pesante riffing della coppia Wylde/Catanese è al solito ineccepibile per carica ed esecuzione, ma manca troppo spesso di quel qualcosa in grado di lasciare il segno, di qualcosa che vada oltre al manierismo e alla solita ricetta oramai ben nota di questa formazione. I brani più ruggenti, una “Blacked Out World” o “Give Yourself To Me”, potenti e trascinati dal cantato nasale di Zakk si fanno ascoltare con trasporto e piacere, anche se non il massimo della freschezza, ma le note per me dolenti sono rappresentate dalle eccessive ballad di cui si compone in gran misura questo Shot To Hell. Se già in Mafia la scelta di introdurre, per molti, troppi passaggi lenti e melodici, capitanati dalla presenza quasi molesta del piano, oggi ci troviamo di fronte ad un numero ancor maggiore (6 per l’esattezza) di tracce quanto meno soporifere. Certo si tratta di un parere soggettivo, ma un disco composto per metà di ballad non credo proprio sia lo standard preferito da buona parte dei fan dei BLS, e nel bene o nel male, il dato va a pesare sul giudizio complessivo di un disco dal potenziale già di per sé limitato. Merita per lo meno di essere citata una “Devil’s Dime”, che, contrariamente a quanto ci si possa aspettare non rientra tra le succitate ballad, ma si distingue in ogni caso solo per il titolo e ben poco per il suo (pure breve) contenuto. Con tutto il bene e la stima possibili nei confronti di Zakk è difficile spingersi troppo in là con un giudizio relativo a questo nuovo album; forse una pausa maggiore tra un cambio di etichetta e l’altra potrebbe risollevare e riportare ben più in alto il nome di Zakk stesso e dei suoi Black Label Society.
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