Continua la scoperta, almeno da parte mia, non so se voi ne eravate già a conoscenza, di band sconosciute provenienti da parti del mondo quanto meno anomale per quanto riguarda la tradizione metal. E così dopo l’ottima sorpresa dei turchi Thrashfire, già recensiti un paio di settimane fa, è ora la volta degli
Amorphia, che provengono niente meno che dall’India!
Inutile far finta di niente o girarci attorno con stupidi giochi di parole, siamo tutti ben coscienti che spesso le band che provengono da posti esotici, poco avvezzi al metal, tirano fuori album o estremamente derivativi, o ridicoli dal punto di vista tecnico/compositivo, per non parlare delle produzioni, spesso ai limiti del demenziale. Invece sia nel caso dei turchi, come già ampiamente evidenziato in fase di
recensione, sia nel caso di questo terzetto indiano, le cose sono state fatte maledettamente bene, sotto tutti i punti di vista.
Arms to death è la prima prova in studio, e ci consegna una band che ha ben chiaro in mente cosa vuole fare. Il thrash metal dei nostri è assolutamente valido, suonato perfettamente, composto in maniera impeccabile, con un’ottima alternanza di parti più tirate, influenzate senza dubbio dalla scena tedesca, e parti rallentate, dove sbucano fuori le influenza più americane, e registrato in maniera altrettanto encomiabile, con un sound bello corposo che mette ben in evidenza sia le chitarre, che il basso, che non resta mai nelle retrovie, oltre ad una terremotante batteria.
Ottima, come si diceva, la prova tecnica dei nostri, che pestano come dannati sugli strumenti. Ma se il valore intrinseco del livello esecutivo ormai, giunti al 2020, è quasi scontato, non lo è altrettanto quello compositivo. Ed è qui che gli
Amorphia vincono alla grande, dimostrando di conoscere nei minimi dettagli la materia thrash metal, riuscendo a riproporla senza risultare banalmente derivativi. Ovvio che le influenze ci siano, ma i nostri riescono a farle proprie e a riproporle con convinzione, con un songwriting fresco e vario.
Come già accennato la parte fondamentale del sound dei nostri è senza ombra di dubbio quella che deriva dai primi Kreator e Sodom, senza dimenticare assolutamente la furia iconoclasta dei vecchi Sepultura, mentre nelle parti più mosh salta fuori un po’ di Bay-Area, che non guasta mai. La durata relativamente breve (solo 37 minuti, che di questi tempi è una vera rarità) rende poi l’ascolto dell’album lineare e indolore. Sarebbe stato stupido da parte della band allungare il brodo con filler inutili, i nove brani presenti (se escludiamo il breve intro posto in apertura) sono tutti validi tasselli di un mosaico ben congeniato, “
Toxic death”, “
Necromancers”, la cadenzata e varia “
The Lieber code” e la titletrack su tutti.
Insomma, mi ha fatto piacere che la
Awakening Records abbia deciso di ristampare il debut album degli
Amorphia, pubblicato originariamente dalla band stessa, in attesa della pubblicazione del secondo capitolo (in uscita proprio in questi giorni, ma non ci è stato ancora mandato per la recensione), altrimenti mi sarei perso un gioiellino thrash metal. A questo punto sono estremamente curioso di ascoltare il suo successore per constatare se i nostri siano riusciti o meno a mantenere questo livello, se non addirittura a superarsi…
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