Non c'è alcun dubbio che i
Sepultura siano una delle formazioni più importanti, famose e stimate nel campo del thrash metal. Tanto per citare un episodio personale, parlando con una giovanissima collega di università di origini brasiliane, assolutamente digiuna di heavy metal, quando è venuto fuori il nome
Sepultura si è illuminata di entusiasmo e mi ha spiegato che nel suo paese sono più di un mito, praticamente un istituzione, e che lei stessa li aveva più volte visti dal vivo. Questa è la vera differenza tra i gruppi che lasciano davvero il segno e tutti gli altri. La capacità di coinvolgere un pubblico formato non solo da cultori del settore, ma molto più trasversale ed eterogeneo.
Circa trentacinque anni di onorata carriera, costellata di successi e periodi difficili, di fasi stilistiche diverse, di abbandoni e ritorni per poi abbandonare di nuovo (il cognome
Cavalera dovrebbe dire qualcosa...), ma alla fine la band brasiliana è sempre lì presente, determinata, combattiva e coerente con il proprio lungo percorso.
Adesso è pronto un nuovo album, il quindicesimo della loro discografia, che suscita una doverosa curiosità tra gli appassionati del metal estremo. I
Sepultura sono ancora in grado di sorprenderci ed emozionarci? Si sono imborghesiti e standardizzati o hanno ancora le motivazioni per proporre qualcosa di sufficientemente fresco e stimolante? Per un fan come il sottoscritto, che li segue (ad intermittenza) dai tempi dei seminali "Morbid vision" (1986) e "Schizophrenia" (1987), la loro dimensione odierna è ancora in grado di sostenere gli inevitabili paragoni col glorioso passato?
La risposta si trova nella strutturazione di questo "
Quadra". Un disco diviso in sezioni diverse, che in qualche modo ripercorrono i vari periodi musicali del quartetto carioca. Ascoltandolo, ho avuto la precisa sensazione di rivivere i differenti momenti stilistici della band, dai più antichi ai più moderni.
La brutale violenza urticante e slayeriana di "
Isolation", "
Means to an end", "
Last time", tiri belluini e massacranti da pogo selvaggio, riconduce direttamente a quel "Chaos A.D." (1993) che li proiettò di diritto nell'olimpo internazionale del thrash old-school. Ritmiche schizzate, riff assassini, screaming devastanti, è quasi sorprendente trovare ancora tanta rabbia nella proposta di gente in attività da così tanto tempo. Tutto realizzato con una perizia strumentale ben difficile da raggiungere per le nuove leve del settore. Compaiono già passaggi più riflessivi e classic-metal oriented, che troveranno spazio molto più ampio nel proseguio del disco.
Con "
Capital enslavement" e "
Ali" si entra nell'era tribal-thrash di "Roots" e "Against": groove a manetta mischiato con la ferocia dell'impianto chitarristico, ritmiche battenti ed attitudine primitiva, headbanging e sudore, energia e militanza politica anti-sistema. Brani che profumano di anni 90, vibrazioni industrial, ribellione anarcoide, centri sociali e diritti degli indios amazzonici. Perlomeno, questa è la sensazione che mi hanno trasmesso a livello personale.
In "
Raging void" compare l'attitudine melodica, pur sempre in un contesto robustamente metal, e questo si accentua grazie all'introduzione quasi prog-corale di "
Guardians of earth" che poi esplode in un delirante urlo post-metal dall'enorme tonnellaggio. Sembra di ascoltare gli Intronaut incazzati come bestie. Rigurgiti heavy ed assoli classici ed armonici, un brano che potrà lasciare perplessi i fans più thrash-addicted ma rappresenta l'identità più contemporanea dei
Sepultura.
"
The pentagram" è uno strumentale pensato per evidenziare le indubbie doti di
Andreas Kisser, discreto ma un pò autocelebrativo. Più interessante "
Autem", un cupo heavy-rock che ricorda molto nomi come Down o Superjoint Ritual, anche perchè
Derrik Green canta alla maniera disturbante ed isterica di Phil Anselmo. L'atmosfera diventa torva e fumosa, stoner-metal, molto differente dal resto del disco. Così come spiazzante è l'approccio modernista e post-metal di "
Agony of defeat", pieno di cori angelici ed arrangiamenti orchestrali, un pezzo drammatico e decadente, più vicino allo sludge che al thrash. Il ritmo rallenta, le vocals si trasformano in epico-evocative, sicuramente la canzone più sperimentale della scaletta.
Chiude l'intensa "
Fear; pain; chaos; suffering", che oltre all'apporto di vocals femminili sembra evocare i Metallica del "Black album" per l'atmosfera da giorno del giudizio e l'andamento cadenzato ed oscuro.
Siamo di fronte ad un capolavoro, come ho già letto da alcune parti? No. Siamo di fronte ad un fiasco, che non rende giustizia alla memorabile carriera dei
Sepultura, come ho letto da altre parti? Assolutamente no. Siamo di fronte ad un ottimo lavoro metal, che riassume tutto quello che i brasiliani hanno saputo creare dagli esordi ad oggi.
Tutte le anime, le incarnazioni, di questa band sono inglobate nei dodici brani del disco, in modo da rappresentare sia la varietà che l'evoluzione della loro proposta musicale. Ciascun ascoltatore apprezzerà maggiormente alcune tracce e meno altre, ma rendendosi conto che tutte fanno parte della personalità complessa e multiforme dei
Sepultura. Per i fans del gruppo e per gli amanti del thrash metal di qualità, un disco da avere.