Non sono più quelli di "
April Rain" ma si lasciano comunque ascoltare.
Questa la recensione in formato Bignami del nuovo album dei
DELAIN, band olandese ormai giunta al suo sesto album che forse ha perso il treno per entrare davvero "in quelli che contano" - a livello di business, sia chiaro - forse chissà anche a causa di lavori non all'altezza, come il precedente "
Moonbathers" che purtroppo risultava davvero troppo sottotono.
Martijn Westerholt, tastierista ex
Within Temptation e e fondatore del gruppo, nonchè unico membro rimasto insieme a Charlottina dai tempi di "
Lucidity" e dei
Roadrunner albums, si è rimboccato le maniche, componendo un album probabilmente più regolare, molto equilibrato che forse ha il rammarico di osare poco ma che per questo rimane costantemente saldo e senza eccessive stravaganze, confinate alla bislacca cover...a mio avviso assai discutibile ma decisamente molto meglio fare qualche vaccata lì piuttosto che nella musica.
"
Burning Bridges" e "
One Second" sono stati i primi due singoli pubblicati ormai qualche mese fa, la Napalm giustamente spinge molto sulla band che macina milioni di visualizzazioni e stream, tuttavia tra gli episodi migliori del disco troviamo "
Chemical Redemption", un brano che tra intermezzi elettronici e cori gregoriani riesce ad unire sacro e profano, futuro e passato, il tutto come sempre impreziosito dalla voce della Wessels che ormai non è più una ragazzina ma una splendida ultratrentenne con un'ottima tecnica vocale, in cui la sua passione e studi per la musica jazz emergono eleganti e prepotenti.
Assai più semplice e diretta (sì, potete leggere banale) la già citata "Burning Bridges", che sembra essere messa lì per accontentare le schiere di millennials che non riescono ad andare oltre a qualcosa che richieda più di un paio di ascolti, e mettiamoci anche un po' di growl buttato a casaccio che fa sempre molto evil e ribelle.
Per fortuna, una volta accontentate le esigenze di mercato i Delain possono tornare a fare quello che gli viene meglio e già la successiva "
Vengeance" rimette tutto in carreggiata con un brano energico e melodico, senza rinunciare a quel poco di teatralità che aveva da sempre fatto le loro fortune, e così anche "
To Live is To Die" col suo incedere marziale, elettronico, anche un po' decadente e malinconico, che risulta essere tra gli episodi più riusciti dell'album.
Tra alti (vedi "
The Greatest Escape", stesso discorso fatto per Chemical Redemption) "
Let's Dance") e bassi (la pessima "
Legions of the Lost" e "
Creatures", assolutamente fuori contesto ed anonima sebbene con un finale da brividi) si giunge verso la conclusione del disco, con la potente "
Masters Of Destiny", ennesimo singolo ed official video, epica e sinfonica, e la toccante "
Ghost House Heart" che ci riporta ai Delain di qualche anno fa, con meno chitarroni roboanti e plasticosi e con più poesia e delicatezza...ma i tempi di "
Collars and Suits" ed "
Are You Done with Me" sono lontani e noi ci godiamo in ogni caso una band tornata su buoni livelli e che riesce a mediare con disinvoltura le esigenze odierne, con sonorità elettroniche (forse le più riuscite) ad altri passaggi sinfonici in cui però le derivazioni sono eccessive. Produzione pessima come al solito, uguale a MILLE altre tutte indistinguibili tra loro e fatte con lo stampino, ma ormai ci siamo arresi.
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