Terzo album per i tedeschi del Palatinato Rage of Samedi, a quattro anni di distanza dal precedente "Children of the black sun" (2016). Doom funereo e sulfureo, infettato da germi black metal, lento e solenne, cimiteriale ed oscuro come la morte.
Questo appare come il lavoro della piena maturità, soprattutto per il buon risultato del songwriting, efficace e coerente ma anche dotato di un certo grado di flessibilità. Se brani come "I spit hate" e "Grief" sono asfissianti monoliti black-sludge/doom, oscuri come gli abissi infernali e pesanti come tonnellate di acciaio, altri episodi come "Rpls" e "Charlie says pt. II" si aprono a sonorità più morbide e lunari, atmosferiche, con richiami ad un metal più classico ed epico. Compaiono vibrazioni malinconiche, decadenti, quasi gotiche, che rendono la proposta della band più varia ed interessante. La conclusiva "Last words" sintetizza la doppia anima della formazione teutonica: da un lato il doom feroce e spietato, corredato da vocals ferine, dall'altro i rigurgiti heavy tradizionali ed ortodossi. Un brano dall'atmosfera visionaria ed apocalittica, torbido e punteggiato da limpidi solismi chitarristici. Ancora, la title-track è un episodio elaborato, sostenuto da ritmiche tribali con vago eco dei primi Venom, che si evolve in un gelido e spigoloso doom con richiami al black scandinavo. Tagliente e drammatico, battente ed inesorabile fino al break centrale liquido ed evocativo, per poi riprendere con passo ipnotico e sferragliante. Forse la canzone più significativa dell'intero disco.
Una buona prova, alla quale però manca ancora qualcosa per diventare eccellente. Sicuramente una band da consigliare agli amanti del doom contaminato ed estremo, con margini di ulteriore crescita.