Ricordo ancora quando, 21 anni fa, rimasi colpito dalla macabra ma sensualmente affascinante copertina di questo album: una eterea fanciulla immersa in una vasca di sangue e il nome della band quasi illeggibile, almeno per chi non era abituato a frequentare l’ambiente delle band black e death metal, con le loro grafiche studiatissime ma al contempo complicate (ora qualcosa in più, in termini di intellezione dei loghi delle band, l’ho imparato, ma non ancora al 100% :) ). Il proprietario dello store, sapendo che stavo muovendo i primi passi nel mondo del metal mi disse: te lo consiglio caldamente. Aprì la confezione (i dischi me li faceva ascoltare, prima di acquistarli... che nostalgia!), lo mise nell’impianto stereo e l’atmosfera funerea dell’intro orchestrale mi rapì subito, per poi subito cadere innamorato della stupenda
Thirteen Autums and a widow. La cosa che mi colpì principalmente furono i differenti modi di cantare di Dani Filth, come anche il contrasto sempre ben bilanciato tra melodia e muri di chitarre fortemente distorte. Benvenuto nel black metal, mi dissi. Quel Cd, pagato trentacinque mila lire, lo ricordo ancora, l’ho ascoltato all'inverosimile, assieme agli altri della band, i precedenti due e il successivo in primis, divenuta una della mie preferite in assoluto.
Ricordo anche il loro show al Beach Bum Festival di Jesolo, l’anno successivo della pubblicazione, quando furono chiamati a sostituire Marilyn Manson, i quali avevano dato forfait a causa del loro batterista, Gidget Gein, che all’epoca dei fatti, venne contagiato dalla mononucleosi acuta. Io avevo preso il biglietto per lo show di Manson (all’epoca era la mia band preferita), ma la sostituzione mi fece passare il dolore per il rinvio dello show, in quanto i Cradle erano, per me come per molti altri, una band di punta.
I vividi ricordi viranti attorno a questo album, ancora impressi nella mia mente, fanno capire quanto io sia legato a questo album e di come l’idea di una sua Reissue, una remaster con nuove equalizzazione dei suoni, mi abbia mandato in visibilio. Ricordo, ai tempi, di come la batteria suonasse in maniera un po’ “incartonata” e di come i suoni delle chitarre avessero un non so che di zanzaresco, ma nell’insieme, nell’economia del lavoro stesso, non erano un problema. Poi, si sa, le tecnologia avanza col tempo, così come anche le tecnologie al servizio del mondo della musica. In fin dei conti: era un album strepitoso. La nuova versione lo ha reso ancora più epico.
Passiamo alla descrizione di questo
Cruelty And The Beast. Re Mistressed. Già il gioco di parole contenuto nel sottotitolo rende meritevole l’acquisto del disco! Remixed, re missato, cambiato con Mistress (Padrona, e sappiamo bene come i nostri inglesi siano collegati con l’universo fetish/bondage). Uno dei problemi principali di quel disco, che comunque a consegnato la band nel gotha dell’Heavy Metal internazionale era, come accennato poco sopra, il suono della batteria: non era heavy abbastanza tanto da dare al disco quel valore aggiunto che lo avrebbe reso così epico (ma va bene così, la storia si fa senza se e senza ma). Il lavoro di missaggio fatto qui da Dani Filth e dallo “studio maestro”
Scott Atkins ha reso il capolavoro dei Cradle ancora più perfetto (al 99% direi). Thirteen Autumns and a widow suona ora esplosiva come una vampata potentissima proveniente dall’inferno, forse esattamente come è stata concepita alle origini. Il lavoro fatto sui suoni della batteria e del basso, come anche lo ispessimento del sound delle chitarre hanno dato vita nuova ai brani del disco, ovviamente non stravolgendo le atmosfere dei brani, mantenendo il loro spirito originario.
Cruelty brought Three Orchids,
Beneath the Howling Stars,
Desires in Violent Overtures, la suite
Bathory Aria e gli altri brani, in questa nuova veste “lavata”, diciamo così, risultano sicuramente più godibili, più contemporanei, più puliti insomma. Le gesta della contessa Elizabeth Bathory (antesignana serial killer Ungherese, vissuta tra il XVI e il XVII secolo, carnefice assieme a quattro suoi collaboratori della morte di un numero imprecisato di vittime oscillanti tra le 100 e 350 – qualcuno dice 650, che si dileggiava nel farsi un bagno nel sangue di giovani vergini per ringiovanire), figura intorno alla quale è stato composto questo concept album, risultano ora essere più sinistre e memorabili. Sembra quasi che il disco sia ringiovanito facendosi un bel bagno nel sangue, Elizabeth docet!
Conclude il disco la sempre interessante cover degli
Iron Maiden,
Hallowed be thy Name. Ascoltatela e fatemi sapere cosa ne pensate.
Un unico dubbio mi assale su questo lavoro, ed è il motivo per cui non me la sento di dare 10 su dieci a questo capolavoro: la voce. Si potrebbe fare di più? Non lo so e non lo voglio sapere. Il risultato ottenuto è comunque molto sopra la media. Va ascoltato questo disco. Se non lo avete mai ascoltato o non lo conoscete (impossibile, secondo me) procuratevelo, e capirete perché con esso la band di Dani Filth è diventata quello che è oggi.
Buon ascolto.