Ammiro la voce di
Robin McAuley fin dai tempi dei Grand Prix e anche se nel McAuley Schenker Group non sempre le cose sono andate benissimo (“
Save yourself”), ritrovare nel terzo millennio il cantante irlandese coinvolto in diversi progetti musicali (tra cui proprio il Michael Schenker Fest, accanto allo splendidamente “instabile”
guitar-hero teutonico) non può che farmi piacere e alimentare la mia curiosità.
Un interesse che diventa smisurato quando si apprende che gli altri protagonisti dei
Black Swan si chiamano
Reb Beach (Winger, The Mob, Whitesnake),
Jeff Pilson (Foreigner, The End Machine, ex-Dokken) e
Matt Starr (Ace Frehley, Burning Rain, Mr. Big), a comporre un
supergruppo tanto intrigante quanto “insidioso”, tenendo conto delle aspettative e dei sospetti di poca genuinità che tali circostanze fatalmente comportano.
E allora iniziamo ad addentrarci nei contenuti di “
Shake the world” affermando che questa supposta “programmazione” non si percepisce per nulla e che l’albo non dovrebbe assolutamente mancare nelle collezioni di chi si ritiene un attento estimatore di MSG,
Dio, Rainbow e Whitesnake, con i quali i suoi autori condividono la favolosa vocazione stilistica ed espressiva.
Sottolineando come la prestazione intraprendente e incisiva di
Beach valga quasi da sola “il prezzo del biglietto” e le smaglianti condizioni di forma di
McAuley, spendiamo due parole pure per l’impeccabile lavoro di
Pilson (anche in sede di produzione) e per uno
Starr che sopperisce a un discutibile “mephistofelico” look con una prestazione precisa e potente.
Il resto lo fa una manciata di eccellenti canzoni, “classiche” nelle strutture e tuttavia ottimamente congeniate, a partire da una
title-track che pulsa di tensione emotiva attraverso un crescendo che mescola
Dio con un pizzico di Saxon.
Si continua con il
groove irresistibile di “
Big disaster” e dell’avvincente
hard-blues “
Johnny came marching” (con una costruzione
bridge / refrain da contagio istantaneo), per poi passare a una “I
mmortal souls” che avvolge l’astante con le sue spire melodiche di enorme suggestione.
Giunti alla ballata “
Make it there”, gravida di passionalità Bad English / Whitesnake-
iana, anche il più recondito dubbio di avere a che fare con un “esercizio di stile” svanisce completamente, sostituito dalla netta impressione che esperienza e ispirazione possono felicemente convivere, come dimostra anche il sinuoso e denso andamento di “
She's on to us” o, in misura addirittura superiore, la spigliata e raffinata architettura armonica di “
The rock that rolled away”, capace di evocare nella memoria un fascinoso connubio tra World Trade, MSG e Winger.
“
Long road to nowhere” abbina dinamismo, adescante sagacia melodica e un lieve tocco esotico e se “
Sacred place” è un vibrante
slow da brividi immediati, “
Unless we change” conduce al medesimo risultato alternando irruenza e melodramma, mentre l’epilogo del programma è affidato alla suggestiva “
Divided/United”, in cui vengono assecondate le velleità Queen-
esche di
Pilson, a quanto pare esaltate dalla visione di “
Bohemian rhapsody”.
“
Shake the world” è un gran bel disco, dal profilo artistico altamente professionale e collaudato, e ciononostante tutt’altro che
routinario, caratteristiche che dovrebbero essere sufficienti a superare ogni eventuale pregiudizio e convincere gli estimatori dell’
hard n’ heavy a non trascurare questi
Black Swan, capaci di sostenere nel modo migliore il loro impegnativo ruolo di
all-star band.