I
The Muggs sono veterani della scena rock underground di Detroit, con cinque album all'attivo ed una label fondata da loro stessi (
Muggs Music) per la quale viene pubblicato questo "
Slave to sound". Il loro stile rientra pienamente in quella corrente vintage/retrò che impazza da alcuni anni nello scenario internazionale: rock con influenze '60 e '70, suggestioni blues, energia ed accessibilità, grande propensione verso un songwriting vario ed incisivo. Per essere ancora più chiari, il filone di band come Gorilla, Joy, The Temperance Movement, Simo, Datura4, ecc.
Lo spettro di sonorità che compongono questo lavoro è vario e gustoso: si passa dallo psycho-blues fumoso e spiraleggiante ("
After the ending"), che avvolge nella sua sognante atmosfera notturna, al tiro ruspante e decisamente hard-rock di brani diretti come "
Patient pending", "
Son and daughter" e "
Eye to eye", dove emerge il groove torrido e si conferma anche una certa attitudine bluesy-lisergica (alla Gorilla). Troviamo uno standard blues più tradizionale ("
Occupied blues") molto orecchiabile ed abbellito da tastiere settantiane, insieme ad episodi che portano ancora più indietro nel tempo ("
Slave to sound", "
Breaking my own") mostrando tracce di quelle melodie easy&free di fine anni '60, ovviamente riadattate ai tempi moderni anche grazie ad un'ottima produzione.
Ci sono un paio di passi falsi, vedi la sdolcinata cover di "
Magnet and steel" (brano di Walter Egan) e "
The Boogens", un esperimento horror rock che di per sè è un buon pezzo ma si potevano evitare i quattro minuti di introduzione radiofonica, decisamente stucchevoli. Comunque non incidono più di tanto sul giudizio finale, che è quello di un album fresco, brillante e scorrevole. Rock alla vecchia maniera, caldo e intenso, dinamico ed appassionante, molto ben interpretato e ricco di spunti strumentali e vocali sviluppati con grande capacità. Consigliatissimo a chi ama il rock che si ispira al passato.
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