Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2020
Durata:44 min.
Etichetta:Svart Records

Tracklist

  1. ETERNAL SILENCE
  2. AONARAN
  3. BLACK EARTH
  4. PARIAH
  5. THE VOID IN AIMLESS FLIGHT
  6. SORROW SURRENDERS ITS CROWN
  7. BURN EMBRACE

Line up

  • Piotr Turek: guitars
  • Richard Powley: guitars
  • Teddy-James Driscoll: bass
  • Albert Turek: drums

Voto medio utenti

I Telepathy sono attivi già da un bel po’, precisamente dal 2011, e questo “Burn Embrace” è il loro terzo full-lenght, ma io non ne avevo mai sentito parare prima.
Tra l’altro il fatto di incidere per la Svart Records mi aveva indotto inizialmente in errore, perché l’ascolto del disco ha smentito la mia ipotesi di trovarmi di fronte al solito assalto black/death/doom condito in varie salse.
La caratteristica peculiare della band è quella di essere completamente strumentale, senza vocals, se si eccettua qualche linea vocale nel finale di “Sorrow Surrenders Its Crown” e nella successiva e conclusiva title track.
Musicalmente la band si definisce come sludge/post metal, definizione che richiama bands come Cult Of Luna e Neurosis, con la differenza che i Telepathy sono, per certi versi, meno estremi e viscerali, producendo composizioni più fluide, liquide, dove l’aspetto melodico è preponderante.
Burn Embrace” si presenta come un lunghissimo trip, dai tratti onirici, che sfrutta la progressività del sound, il suo continuo mutare, per ipnotizzare l’ascoltatore e trasportarlo in un viaggio ai limiti della catarsi.
Catarsi che trova la sua piena realizzazione nella stupenda “The Void In Aimless Flight”, il cui finale regala un pathos emozionale difficilmente sostenibile.
Tuttavia, già dalle prime note dell’iniziale “Eternal Silence”, col suo mellifluo e vibrante arpeggio, si capisce che siamo di fronte ad una band che sa il fatto suo.
Il finale è tutto della lenta, sebbene dilatata, title track, che mette in mostra un violino che prova a scaldare le note algide, piene di melancolia e nostalgia, e che fa rimpiangere un suo uso più estensivo nelle restanti tracce.
Se l’assenza delle vocals può spiazzare, ascoltando il disco si arriva paradossalmente alla conclusione che la loro presenza avrebbe spezzato l’armonia e l’alchimia delle composizioni che si reggono benissimo da sole, e anzi invitano l’ascoltatore a concentrarsi sulla musica, sui suoi umori, in un’esperienza che diventa immersiva.
Il disco non stanca, pur avendo momenti un po’ ripetitivi, come è inevitabile che sia, ma è chiaro che non è un ascolto facile, richiede impegno ed attenzione, e soprattutto tempo.
Un disco da viaggio, in tutti i sensi.

Recensione a cura di Luigi 'Gino' Schettino

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