V:XII - Rom, Rune and Ruin: The Odium Disciplina

Copertina 5,5

Info

Anno di uscita:2020
Durata:48 min.
Etichetta:Aesthetic Death Records

Tracklist

  1. THE NEW BLACK
  2. MADR
  3. TWINING ROPE
  4. DJAVULSOGON-DECONSTRUCTING THE BLOODWOLF
  5. URURZ
  6. YAWNING VOID
  7. B.A.H.F
  8. VANAGANDR

Line up

  • Daniel Jansson: all instruments

Voto medio utenti

Il progetto V:XII è opera di Daniel Jansson, musicista svedese con all’attivo già diversi progetti, tra cui i Deadwood.
Il qui presente disco, dal pretenzioso ed evocativo titolo “Rom, Rune, and Ruin: The Odium Disciplina”, gioca un po’ a confondere, volendo tenere i piedi in troppe scarpe, dal black industrial, passando per il drone, per la dark ambient fino a finire al death industrial o power electronics che dir si voglia.
E se per i primi due pezzi, “The New Black” e “Madr”, il nostro non mette mai in mostra nulla che possa lasciar gridare al miracolo, ma, diciamola tutta, nulla che valga nemmeno la pena di ascoltare, dalla terza track in poi le cose cominciano a mutare e a virare verso il nero e la claustrofobia.
Twining Rope” ha un leit motiv angosciante, che corrode lentamente il cervello, “Djavulgoson – Deconstructing The Bloodwolf” è oscura e minacciosa come piace a noi, con atmosfere claustrofobiche, corrosive, in una sola parola malate, marcescenti.
Ururuz” è industrial black ambient marziale, con la voce di Daniel che resta sempre sullo sfondo, piena di effetti a trasfigurarla, come se emergesse da una coltre di nebbia.
A questo punto della recensione mi pare opportuno chiarire, qualora non lo fosse ancora, che qui di metallo non ce n’è nemmeno l’ombra. Non fatevi abbindolare dall’etichetta black industrial, black è solo un aggettivo che sta ad indicare la tematica, oscura fino a sconfinare nel satanismo/occultismo, non certo degli emuli di Mayhem e Immortal.
Il disco prosegue mettendo in mostra le varie influenze del nostro, senza mai prendere una decisione netta, essendo questa la caratteristica migliore ma anche peggiore del disco, con episodi più riusciti, come “B.A.H.F.”, a scapito di altri inconcludenti. Un disco fruibile, didascalico, prevedibile.
Resta la sensazione di disagio, di freddezza, di oscurità, che un disco simile riesce a trasmettere. Ma un disco simile misura il suo reale valore nella capacità di violentare letteralmente l’ascoltatore, con un carico di emozioni negative che dovrebbe indurci nei più cupi e foschi pensieri e “la disciplina dell’odio” è ben lontana dal raggiungere questo risultato.
Un disco del genere non deve essere fruibile, nell’accezione più comune del termine. Deve essere ostico, deve farci svegliare di notte in un obitorio, con i cadaveri nei sacchi di plastica e le luci fredde del neon a rendere il tutto più livido. Deve farci sentire l’olezzo di putrefazione.


Recensione a cura di Luigi 'Gino' Schettino

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