Copertina 7

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2020
Durata:50 min.
Etichetta:Indipendent

Tracklist

  1. DO IT OR NOT
  2. THE TIME OF DREAM
  3. SALVATION
  4. ANGELS COULD CRY
  5. RAGE IN PARADISE
  6. PLEASING THE LORD
  7. GAME OVER
  8. MY BEST DAY
  9. OLD BRIDGE
  10. BLESS THE HELL

Line up

  • Shinobi Seiryu: bass
  • Nico Cempini: drums
  • Damiano Porciani: guitars
  • Silvia Agnoloni: vocals
  • Alessandro Berchicci Soave: guitars

Voto medio utenti

I fiorentini Old Bridge, ovvero Ponte vecchio, uno dei luoghi simbolo della città gigliata, hanno avuto nel corso della loro carriera diverse incarnazioni.
La band formatasi nel 2009, è risorta nel 2018 e ora debutta con il primo full autoprodotto.
Questo disco è sulfureo, non solo per il filo conduttore che unisce i brani, ovvero l’Inferno, ma anche perché i nostri sanno toccare certe corde inquietanti del metal più classico al quale sono votati.
L’opener preceduta dall’intro “Ad inferi”, inizia con un riffing che più metal non si può.
Le tastiere si sentono in sottofondo, ma l’esplosività di questo brano di puro metal è percepibile; le chitarre sono ben equilibrate e la singer Silvia Agnoloni non ha il classico tono da screamer, ma anzi ha un timbro profondo, roco ricco di blues.
Con “Salvation”, la band graffia con un brano serrato e che sorregge pathos drammatico.
Il chorus è aperto e melodico, con le tastiere che fanno da tappeto hanno un feeling ottantiano; bello il tempo cadenzato con vocals a dare il ritmo prima del solo.
Come avevo detto, qui di sulfureo non c’è solo l’idea centrale che accompagna il disco, ma anche la quinta traccia che puzza di doom sabbathiano.
I chitarroni ribassati, con echi iommiani ed il cantato della singer basso, profondo ed evocativo rendono bene il climax; il chorus emana pathos e rabbia.
Pleasing the lord”, inizia con un riff minaccioso che apre le danze in questo brano ricco di sfumature hard.
Bel tempo cadenzato, con un bel riff di chitarra e il basso di Shinobi Seiryu a seguire; il solo è fumante lava calda e bluesy.
La titletrack chiude l’album con un basso che arpeggia subito doppiato da un riff al sapor di zolfo maligno e inquietante, tocchi percussivi che aprono ad un mid tempo roccioso.
La singer adotta due registri, uno più roco e l’altro più profondo nel chorus cantato in latino; brano di heavy metal dalle sfumature horrorifiche e un profumo doomy nel finale.
Buona prova da parte del combo nostrano, si sente la compattezza del suono e la volontà di dare qualcosa di proprio, avanti così.
Recensione a cura di Matteo Mapelli

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