Terzo album per gli hard rockers norvegesi Hush, vecchia conoscenza del panorama italiano, dato che “II”, il loro secondo disco, era uscito per la nostra Frontiers Records nel 2001.
Oggi, a cinque anni di distanza, si ripresentano con un genere quasi totalmente rinnovato. Già, perché se in passato era stata la componente melodic del loro sound a farla da padrone, con un impiego massiccio di melodie cathcy e una grande attenzione nelle parti vocali, ora il tutto si è fatto decisamente più pesante, grezzo e lineare.
Bastano le prime due tracce, l’ipnotica “Is this…?” e la trascinante title track, per farci comprendere che il quartetto scandinavo ha deciso di abbandonare ogni inutile fronzolo e di giocare la partita solo ed esclusivamente a colpi di purissimo rock and roll.
Voce, basso, chitarra e batteria, senza tastiere, effetti o sovraincisioni di sorta. Soltanto quattro musicisti che suonano insieme, dandoci dentro coi loro strumenti per cercare di tirar fuori il miglior disco possibile.
Il risultato è un lavoro di una semplicità tale da sembrare quasi ingenua, una manciata di canzoni studiate apposta per funzionare dal vivo, e un appeal commerciale abbastanza alto, che potrebbe davvero far vendere qualche copia a questi ragazzi.
I brani si dividono essenzialmente in due categorie: ci sono quelli tirati come “Dark inside the light”, “Lies & rumors” o “Hell or high water”, dotate tutte di un incedere incalzante e di un ritornello accattivante al punto giusto, e poi abbiamo le ballate: “When you fall”, la malinconica “Walk on through” e soprattutto la bellissima, conclusiva “Till we become the sun”, sono in pratica versioni minimali dei vecchi pezzi aor che gli Hush solevano fare nei primi dischi e forse funzionano meglio, dato che sono prive di qualsivoglia elemento sdolcinato e vanno dritte allo scopo senza perdersi in tante chiacchiere.
Qua e là affiorano anche sonorità un po’ più moderne, come nel caso di “Enemy”, ma occorre dire che quando battono questa strada i norvegesi non convincono per nulla.
Di nuovo, non siamo vicini ad un capolavoro, in generale non c’è nemmeno un episodio di questo “Mirage” che non sia stato già sentito un milione di volte. Eppure trasuda di un entusiasmo, di una maturità tale, che vale veramente la pena dargli una chance: chissà mai che non ce li ritroviamo ricchi e famosi tra qualche anno…
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