Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2009
Durata:48 min.
Etichetta:Frontiers
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. ALIVE AGAIN
  2. HEAL THE BROKEN HEARTED
  3. HOT TO COLD
  4. FRENCH QUARTER
  5. 33 WEST STREET
  6. THE SOUTH SUMMIT
  7. RADA’S THEME
  8. THE VINE
  9. IN THESE EYES
  10. VERMILION BORDER
  11. I’VE BEEN LEAVIN’ YOU
  12. SOMEWHERE

Line up

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Dopo una generosa carriera lontana dai “riflettori”, soprattutto alle “dipendenze” delle sorelle Wilson (ventidue anni d’attività come chitarrista, tastierista e co-produttore, prodighi di successi) è giunto il momento per il veterano Howard Leese di conquistare il centro del “palco”, di essere gratificato da un disco che rechi in primo piano il suo nome e il suo cognome.
Spesso considerato “l’arma segreta” delle Heart, ecco che “Secret weapon” diventa anche il titolo del suo “debutto” da titolare, in cui dar sfogo a tutta la sua ricca cultura e sensibilità musicale, forgiata dagli ascolti di Dick Dale, Keith Richards, Peter Green, Jeff Beck, Jimi Hendrix, Eric Clapton e Paul Kossoff e arricchita anche dalle frequentazioni in seno alla The Paul Rodgers Band e alla riformata Bad Company.
Il risultato è una deliziosa collezione di momenti musicali prodighi d’ispirazione, intensi, melodici e a volte malinconici, impregnati d’elettricità blues e di classe, a cui contribuiscono preparati strumentisti e una schiera di voci davvero appassionanti, tra indiscusse “garanzie” (Joe Lynn Turner, Paul Rodgers, Jimi Jamison, Paul Shortino alias Duke Fame) e nomi meno noti (Deanna Johnston, Keith St. John, Andrew Black) comunque costantemente in grado di fornire qualità timbrica e affidabilità interpretativa.
Il giustificato attacco di “egocentrismo” si manifesta anche attraverso soluzioni espressive esclusivamente strumentali, ma non aspettatevi una serie d’enigmatiche elucubrazioni autocelebrative: si tratterebbe di una forma troppo “grave” di tale “patologia”, completamente abiurante la personalità di un artista che viceversa esprime la sua anima tramite un feeling ora delicato e ora più volitivo, eppure sempre densissimo, tra incanti acustici, trame evocative ad ampio respiro e un sopraffino gusto melodico, che insieme dipingono immagini mentali e istigano scintille emotive.
Nonostante la cospicua carica di suggestione presente nell’appena descritta porzione del disco (impreziosita pure dalla nobile presenza di Keith Emerson, nella breve “French quarter”), è dai brani cantati che arrivano i colori più vividi e luminosi.
Prima di tutto i “maestri”: “Alive again”, grazie al magnifico Joe Lynn Turner, materializza paesaggi assolati e sconfinati pronti a sfidare sullo stesso polveroso terreno il Bon Jovi di “Wanted dead or alive” (la vittoria? A Voi la decisione!), in “Heal the broken hearted” il Dottor. Paul Rodgers lenisce tutti i cuori infranti con la sua famosa cura a base d’insuperabile passionalità, in “The vine” Jimi Jamison rende profondamente toccante una pregevole linea melodica ad elevato contenuto romantico, mentre l’ugola piena di Paul Shortino (celato dietro il misterioso appellativo di Duke Fame, ruolo che ha interpretato nel film “This is …Spinal Tap”) irrompe nell’atmosfera orchestrale di “The south summit” finendo per trasformarla in un hard-rock blues marchiato dalle impennate hendrixiane della chitarra di Leese, e tocca ancora all’ex singer di Rainbow, Malmsteen e Purple fare da “chioccia” alla meno esperta Deanna Johnston in “Hot to cold”, un duetto affiatato e vibrante, sviluppato sulle ardenti pulsazioni dell’hard n’ blues n’ soul.
Continuando con i “discenti”, sono Keith St. John (mi toccherà andare a recuperare i Burning Rain!) e Andrew Black a colpire ancora più a fondo della loro pur brava collega: il primo pilotando con considerevole lirismo le malie elettro-acustiche di “In these eyes” e il secondo innescando, con la brace della sua laringe, l’ordigno “bluesonico” che risponde al nome di “I’ve been leavin’ you”.
Il giudizio finale consegna “Secret weapon” alla categoria dei dischi che meritano gran rispetto, magari non irrinunciabili, abbastanza “ordinari” nelle metodiche espressive, ma “speciali” per la forza interiore che sprigionano. Insomma, bravo Howard … non male, per un “esordiente”.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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