Quasi tre anni fa i
Black Phantom ci avevano già intimato di prestare attenzione, ma per chi all'epoca non avesse dato loro ascolto, ecco una nuova occasione: il secondo album "
Zero Hour Is Now", sempre rilasciato dalla
Punishment 18 Records.
Avevamo già affrontato le origini dei
Black Phantom in occasione della prima uscita discografica, così come erano state identificate le coordinate che definivano, tanto nel 2017 quanto oggi, la loro proposta musicale.
Ma allora serviva davvero un altro album per ricordarcele?
Si. E per almeno due motivi.
Innanzitutto c'era la curiosità di vedere come se la sarebbe cavata il buon
Andrea Tito, dopo aver smaltito le idee che aveva messo da parte per 25 anni, alla presa con delle nuove composizioni.
A seguire, serviva la conferma che tutte le cose buone presenti su "Better Beware!" non fossero figlie del caso, e che non solo sarebbero stati in grado di replicarle ma anche di alzare l'asticella.
E' il piglio spiccatamente ottantiano della doppietta "
Redemption" e "
Hordes of Destruction" a introdurci al disco, un paio di brani compatti che mi hanno portato a pensare con nostalgia a "Tales of Wonder" (esordio dei Mesmerize del 1998) e inevitabilmente alla più vasta discografia degli Iron Maiden, canzoni che faranno sfracelli dal vivo e che mettono subito in evidenza tutte le qualità dei
Black Phantom, oggi più rodati e affiatati, con le chitarre di
Luca Belbruno e
Roberto Manfrinato che duellano senza requie, il basso di
Tito e il drumming di
Ivan Carsenzuola (ormai perfettamente integrato) lesti a dettare i tempi e su tutti la bella voce di
Manuel Malini, che ritrovo più sciolto rispetto al passato.
"
Schattenjäger" prima sorprende con un incipit che richiama apertamente "Tyranny of Soul", poi ti stende nel suo successivo sviluppo che scuote (con guizzi musicali) e coinvolge (nell'accattivante refrain). I
Black Phantom imboccano poi una "
The Road" che li porta sino ad un incrocio tra (ancora) l'ultimo Dickinson solista e intrecci strumentali e ritmici dove l'influenza di Steve Harris è palpabile e altrettanto pulsante visto come il basso di
Tito viene messo in risalto dal mixaggio e nella resa sonora, potente e diretta, fedele alla tradizione pur con un taglio più attuale. E qui il merito va al primo batterista della band,
Andrea Garavaglia che mixato e masterizzato l'album presso gli Octopus Studios.
Ne ho già accennato, ma ci tengo ancora a sottolineare l'ottima prova dei chitarristi, e l'occasione giusta è l'inizio di "
Aboard the Rattling Ark" dove le due chitarre fanno gara di velocità con il basso per vedere chi per primo arriva al traguardo di un brano roccioso e spigoloso il giusto.
Un pizzico di melodia in più fa capolino nelle battute iniziali di "
Either You Or Me", che per fortuna non si rivela una smielata ballad, ma un pezzo dal passo lento e atmosfere cupe, che non possono che fare pensare a Bruce Dickinson (quello di "Accident of Birth" direi). L'esclamativa "
Begone!" è caratterizzata da ritmiche insistite e inusuali, portandoci "fuori dai sentieri battuti" per avventurarsi lungo rotte meno maideniane. Se nelle sue prime battute "
Hands of Time" può far pensare di proseguire sulle stesse coordinate dell'episodio precedente, bastano pochi secondi per scoprire un altro pezzo galoppante e ispirato dalla N.W.O.B.H.M. più intransigente.
Come per l'esordio, in chiusura troviamo una bonus track, e stavolta nessuna cover ma la versione alternativa di "Schattenjäger" (Cacciatore d'Ombra) cantata in tedesco, un'interpretazione che la rende ancora più aspra e spigolosa. Non male, ma per il prossimo album a questo punto vorrei sentire dai
Black Phantom un brano cantato in italiano.
Heavy Metal. Tradizionale. Come dovrebbe essere concepito e suonato.
Metal Hour Is Now.
Metal.it
What else?