I Sahg sono attivi da poco tempo ed ancora praticamente sconosciuti fuori dai confini norvegesi, però i componenti della band vantano già una militanza lunga ed importante nella scena extreme-metal. Gente che si è fatta le ossa in gruppi come Gorgoroth, Audrey Horne, Mannsgard, ed ora mette in comune la propria esperienza per portare avanti questo nuovo progetto. Stando ai loro trascorsi passati ci si attenderebbe dunque una proposta dalle caratteristiche in qualche modo esasperate, invece sotto questo profilo l'album di debutto rappresenta una grossa sorpresa. Lo stile dei Sahg infatti si rivela una sorta di heavy doom con venature metalliche, molto potente e severo ma totalmente privo di eccessi, anzi portato a concedere spazio a passaggi più ariosi e vicini al rock. Un sound dal passo pesante e tenebroso ma per nulla asfittico, capace di un dinamismo forte perfino di sinistra eleganza ed arricchito da belle atmosfere segnate dal gelido soffio crepuscolare, iperboreo, dal senso di solitudine ed isolamento che pare inscindibile caratteristica dei popoli nordici. Non inventa nulla il quartetto norvegese, ma crea in modo superbo la propria miscela pescando dai Black Sabbath, dal metal classico, dalle nuove leve doom come Abdullah, Voodooshock, Place of Skulls, ecc, legando tutto con un personale taglio maestoso e con robuste pennellate di melodia dark. Cavalcate notturne piene di pathos drammatico ("Repent, Rivers running dry"), sferzate di brividoso metal ottantiano ("The executioner undead, Boundless demise"), lenti crescendo morbosi e sulfurei ("Godless faith"), affascinanti trame orrorifiche e Sabbathiane ("The alchemist, Black passage"), i Sahg esprimono con passione tutte le emozioni del miglior heavy doom, mostrandosi pienamente dotati di tecnica, competenza e fantasia. Un debutto davvero notevole per alimentare il periodo positivo di questo filone, che senz'altro non rischia di inaridirsi finchè partorirà grandi rivelazioni come il gruppo scandinavo.
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