Non credo di affermare qualcosa di “sconvolgente” se dico che è davvero difficile inventare qualcosa di “nuovo” in ambito
doom-metal. Una peculiarità che in realtà non è nemmeno richiesta, visto che il genere si regge essenzialmente su una spiccata forma di “conservatorismo” stilistico, il che spiega anche il perché, contrariamente ai pronostici di molti “infedeli”, tale formula artistica sta sopravvivendo da tempo immemore in maniera piuttosto prospera nei gusti del pubblico di riferimento.
E allora la differenza la fa, ancora una volta, il “modo” in cui ci si esprime all’interno di confini abbastanza delimitati, una faccenda che chiama in causa termini come “intensità”, “profondità” e “ispirazione”, tutta “roba” che nella proposta musicale dei
Crimson Dawn troverete rappresentata in dosi inusitate, in un calderone sonico scuro, melodico, afflittivo ed enfatico.
Citare Black Sabbath, Candlemass, Solstice, Sorcerer e Pallbearer tra le plausibili ascendenze dei lombardi può essere senz'altro utile a indirizzare chi eventualmente ancora non li conoscesse (la
band è attiva dal 2005 e, nel caso, sarebbe ora di colmare la lacuna …), ma rischia allo stesso tempo di confondere i nostri nel marasma di formazioni più o meno
underground con cui condividono i riferimenti.
La verità è che “
Inverno”, apice (per ora, almeno …) di una carriera in costante progressione, ha le caratteristiche per ritagliarsi uno spazio “tutto suo” all’interno di una “scena” frequentata e competitiva.
Gli scenari evocativi di cui è intriso il programma, in cui si mescolano chitarre sulfuree, ritmiche dense e melodie trionfali, sprigionano sensazioni antiche e pregnanti rivelando notevole cultura e una sensibilità compositiva capaci da attingere, in misura “centellinata”, anche dal
dark e dal
prog.
I dieci minuti abbondanti dell’
ouverture “
The house on the lake” avvolgono immediatamente l’astante in un bozzolo di araldico melodramma ossianico e se qui le tastiere di
Emanuele Laghi “gonfiano” il suono o fungono a tratti da ipnotico
carillon, nella successiva “
Thulsa doom and the cult of the snake” contribuiscono a colorare di sinistro
hard-rock settantiano un pezzo davvero coinvolgente.
La
title-track dell’opera, prima prova della
band completamente in italiano, consente di sottolineare la performance di
Antonio Pecere,
vocalist duttile e comunicativo, mai “forzatamente” teatrale, nello specifico perfettamente integrato con “l’ospite”
Emanuele Rastelli (Crown Of Autumn, Magnifiqat, … ma anche co-fondatore dei nostri) in una gestione priva d’imbarazzi delle sfumature
dark che alimentano il brano.
L’incedere pulsante e dinamico di “
From beyond” fornisce maggiore “respiro” al clima sonico, il quale si ammanta di autentica
grandeur gotica in “
Nameless one”, da cui affiorano al contempo barlumi di perfido
spleen emozionale.
L’enorme eredità Sabbath-
iana (
Dio-era) assume contorni ancora più nitidi nelle visioni inenarrabili di “
Return to Agarthi”, mentre “
Condemned to live” sfrutta la presenza del
growl di
Clode (Tethra) per caricare questa angosciata orazione di supplementari effetti sensoriali.
Le visioni stranianti e solenni di “
Soulcrush” concludono in “gloria” un album che conferma con pieno merito i
Crimson Dawn ai vertici contemporanei del settore, forti di una maturità e di una consapevolezza che consente loro di non soffrire per nulla delle possibili vertigini insite in una posizione tanto prominente e ambita.