“Spleen” è il secondo album dei Valas, un gruppo che mi ha sorpreso per la qualità con la quale affronta un genere musicale divenuto, allo stato attuale, parecchio “rischioso”, sia a causa dell’affollamento che lo ha contrassegnato, sia perché è piuttosto difficile sostenere in maniera efficace la “concorrenza” con gli incontestabili maestri del settore, talmente riconoscibili (e spesso geniali) da rendere critica una qualunque forma di confronto e sia perché troppo di frequente gli epigoni di tali modelli si sono limitati ad esternare la loro devozione con un atteggiamento esclusivamente passivo, offrendo manifestazioni artistiche prodighe solamente di prolissità e prive della necessaria “anima”.
Pur abbeverandosi alla fonte di Queensryche (piccola nota a margine: “Operation: Mindcrime II”, sebbene non eguagli, per molti motivi, come prevedibile, il primo capitolo dell’opera, è assolutamente un “signor” disco, risparmiandomi quella temuta profonda delusione dalla quale sicuramente non mi sarei più ripreso!), Fates Warning e, in minima parte, Dream Theater, il prog-metal saltuariamente screziato di hard-rock del sestetto italiano, oltre alle fondamentali doti d’irreprensibilità tecnica e fertilità creativa, elargisce pure un’agilità compositiva di livello superiore e riesce ad essere, grazie a questa ulteriore dote, anche se magari non proprio straordinariamente originale, assai godibile e coinvolgente evitando, dunque, di sacrificare l’incisività e l’efficacia della “forma canzone” sull’altare del virtuosismo esecutivo e della complessità autocompiacente delle partiture.
Non mancano né l’abilità negli intrecci strumentali, né i cambi d’umore e di ritmo e neppure le contaminazioni, ma tutto appare funzionale a rendere “fruibile” la musica, a fare in modo che l’effetto sull’ascoltatore non si traduca esclusivamente in una fredda ammirazione “specialistica” e sviluppi una prepotente “compromissione” anche dal punto di vista squisitamente emotivo.
Chi ha imparato ad apprezzare la sontuosa laringe di Marco Sivo nei formidabili Time Machine e magari si è pure sorpreso della duttilità e della naturalezza con la quale essa ha saputo adattarsi all’hard-rock melodico dei Planethard, non potrà che assegnare al singer una nuova menzione d’onore (il “medagliere” si amplia “pericolosamente”!) per una prestazione che concilia in maniera encomiabile le spettacolari tonalità di Tate e Alder (senza dimenticare anche un pizzico dell’approccio vocale del migliore Kiske e pure un qualcosa di Steve Benito degli Heir Apparent) con una capacità interpretativa di considerevole spessore.
“Boundgazer” è una track sospesa tra pathos ed impatto, “Echoes” mostra i nervi con un andamento atletico ed enfatico, “Beyond the pain” è uno splendido excursus carico di estro e intensità, laddove “While the autumn dies” e “In a graceful verse” esibiscono con classe innata il loro carattere cupo ed ombroso.
In “Unrest” e “Only with my art” melodia, energia ed eclettismo progressivo si congiungono in una forma d’ideale connubio, mentre “Close to him” mi conquista senza riserve grazie ad una sintassi avvincente, dal tocco e dalla sensibilità piuttosto rari e “Tale of a sweet sorrow” solca con passionalità territori più romantici e malinconici.
Mancano all’appello ancora la dirompente drammaticità di “The wiseman speech” e la vibrante e suggestiva raffinatezza di “Poem”, in cui l’ugola di Sivo si prende una meritata pausa e i suoi compagni conquistano solitari il proscenio, concludendo una prova da incorniciare.
Se cercate un eccellente disco di power-prog-metal “classico”, non è necessario sforzare la vista, andando oltreoceano, oltremanica o anche solo indirizzando lo sguardo al nord Europa … è qui, praticamente “sotto casa” e s’intitola “Spleen” … non fatevelo sfuggire!
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