Il quintetto francese dopo un’attesa di 5 anni se ne esce con il loro secondo full-length. A differenza del debutto troviamo un cambio di etichetta passando dalla Mortis Humanae Productions francese alla svizzera
Asgard Hass Productions. La produzione la trovo più azzeccata con un suono più pulito rispetto al precedente lavoro e questo ne giova sull’intero disco, si possono apprezzare meglio i vari strumenti musicali nonché il vocalist più incisivo e diretto.
È un Black Metal aggressivo già dall’inizio dopo un breve parlato di alcuni secondi in francese. Lavoro atmosferico quanto basta e melodico. I riff non troppo originali ma comunque buoni e ben fatti, facendoti squotere la testa e picchiettare il piede. La melodia non si distacca troppo dal primo lavoro, ma solo un lavoro più raffinato con buoni mid-tempo all’interno. Arrivati però a metà disco le idee iniziano ad appannarsi e a venir meno. Si può quasi percepire un senso di forzatura nel concludere il disco, i riff diventano alquanto ordinari con un netto senso di dejavù. I nostri compongono si ancora buona musica ma percorrono solchi ormai fatti e rifatti centinaia di volte volendo andare sul sicuro, ma inciampando sulla banalità.
Come mi sono esaltato nei primi venti minuti, ho sentito scemare il tutto nei venti minuti successivi. Scoprendo che poi le idee non erano così tante, eppure sono passati 5 anni, mi aspettavo un qualcosa in più. Il disco si conclude così, con un po’ d’amaro in bocca, ma comunque con la sufficienza piena, solo grazie alla prima parte del disco che era più ispirata.
Ragazzi, per provare ad uscire dal marasma dei gruppi che ci sono bisogna cercare di essere più originali, con più idee e non essere una band comune tra le tante facendo un copia lì e copia là mescola il tutto e butta fuori un disco che poi ascolti una volta e il giorno dopo l’hai già dimenticato.
Le potenzialità comunque ci sono, forse devono ancora sbocciare e maturare. Il tutto si capirà dal loro terzo lavoro se riusciranno a prendere il volo oppure cadere nel dimenticatoio come tanti altri.
A cura di Simone Pezzini
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