Un sound monolitico, spietato, allucinatorio, basato su temi sludge-doom tombali ed asfissianti ma contaminato da rigurgiti heavy e delicate aperture post-metal alla Neurosis. In sintesi è ciò che propongono gli
In the Company of Serpents di Denver, Colorado, nel quarto capitolo discografico della loro carriera.
Rispetto al passato si è certamente verificata un'evoluzione nello stile di questa band: se prima il focus era prevalentemente puntato sul tonnellaggio sonoro da pesi massimi, impressionante ma un tantino asfittico, oggi lo spettro di soluzioni del quartetto americano è sensibilmente cresciuto e migliorato. Rimane intatta l'indole ultra-sludge, con ritmiche elefantiache e vocals brutali, riff cadaverici ed atmosfera plumbea e mortifera, vedi "
Scales of Maat" (dove compaiono come ospiti due protagonisti della scena undeground di Denver:
Ethan Lee McCarthy dei Primitive Man e
Ben Hutcherson dei Khemmis), ma adesso intervengono numerosi passaggi più sofisticati, atmosferici e rarefatti, che si sposano con esplosioni metal rabbiose e disperate ("
The chasm at the mouth of the all") dove sembra di ascoltare i Bongzilla che jammano con qualche alternative-rock band. Brani lunghi, sfiancanti, dal basso livello di accessibilità non adatto a tutti, ma interessante nel suo sincretismo avvolgente.
"
Lightchild" ricorda molto i Neurosis di "Given to the rising" per la commistione di elementi metal e doom, ma soprattutto per la tensione drammatica e disperata che ne accompagna lo svolgimento. Roba per cuori forti e sofferenti, dove l'angoscia esistenziale, il culto del decadimento e della fine inevitabile accompagnano l'ascoltatore senza tregua. Più convenzionale ma molto efficace il granitico incedere metallico di "
Archonic manipulations", serrato e stordente alla Soilent Green/primi Mastodon, dove la grezza voce di
Grant Netzorg sembra provenire da abissi di tenebra impenetrabile.
Le due tracce più complete e rappresentative del nuovo corso dei ragazzi di Denver, sono comunque l'iniziale "
The fool's journey" e la finale "
Prima materia". Ispirate all'alchimia trascendente, al significato esoterico dei Tarocchi, al senso ultimo della vita e della morte, sono percorsi articolati e ricchi di suggestioni stilistiche. Dagli arpeggi chitarristici ai riffoni totemici, dalle urla primitive ad un canto quasi narrativo, dalla delicatezza nebbiosa all'aggressività tribalistica e mesmerica, in diciassette minuti complessivi questa formazione sciorina tutto il proprio repertorio post-metal-doom-sludge in maniera assolutamente convincente e rimarchevole. Occorre qualche ascolto in più, per cogliere in pieno la bellezza di certi passaggi e l'incisività dei riff macinati dal gruppo (memorabile quello di "
The fool's journey"...), ma gli appassionati del genere troveranno davvero molto materiale sostanzioso e di ottima qualità.
Niente da aggiungere, se non che il presente "
Lux" è caldamente consigliato ai fans di Dopethrone, Weedeater, Grief, Fistula, ecc, oltre ai nomi citati in precedenza. Gran bel lavoro sludge.
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