A volte tornano...e quando lo fanno...difficilmente deludono!
E’ il caso dei finlandesi
Kenziner, creatura musicale ideata addirittura a metà anni ‘90 dalla mente geniale del virtuoso chitarrista
Jarno Keskinen che, già alla fine dello scorso millennio, aveva dato sfoggio delle proprie qualità tecnico-compositive, dando alla luce 2 album davvero di pregevole fattura, come Timescape (1998) e The Prophecies (1999) poi...un silenzio lunghissimo, durato ben 15 anni, prima del tanto inatteso, quanto stupendo, ritorno del 2014 con The Last Horizon.
Questa volta la formazione finlandese ci ha messo “solo” 6 anni per sfornare il nuovo
Phoenix con una line-up rinnovata per 2/5 difatti, oltre a
Keskinen ed ai “fedeli”
JJ Hjelt al basso e
Make Lievonen dietro le pelli, fanno il loro ingresso in formazione il tastierista
Ariel Perchuk, ma soprattutto il vocalist polacco
Peter “Zinny” Zalesky, che si rivelerà uno dei protagonisti principali del disco, con il suo timbro caldo e graffiante, dotato di un’ottima estensione vocale, “scuola Allen/Lande”, tanto per intenderci.
Phoenix ci propone, sin dalla feroce doppietta iniziale
Eye Of Horus /
Listen To The Devil, un tipico prog-power metal di stampo neoclassico, genere tanto caro a
Keskinen ma, rispetto al passato, l’atmosfera si fa nettamente più pesante, non solo nelle prime due tracce, ma anche in pezzi quali
Shadow Of The Moon,
Phoenix Rising o nella killer-song
The Mirror, grazie ad una sezione ritmica dai tempi più serrati, ad assoli incisivi di chitarra e tastiera ed alla voce tagliente di
Zinny, autore di una prova assolutamente priva di sbavature. Quanto detto però, non deve far assolutamente pensare che il lato melodico venga trascurato anzi, episodi come
Tears Of Mirror o l’arabeggiante
Osiris Rising, perfetto preludio alla convincente
Curse Of The Pharaoh, o ancora l’emotivamente splendida
To Hell And Back, sono degli esempi lampanti di come grazia ed aggressività musicali possano convivere armonicamente all’interno dello stesso brano senza scalfirne l'incisività e questo può essere possibile solamente se la composizione è davvero il frutto dell’ispirazione di un artista e non un’imposizione che arriva dall’esterno.
Il disco scorre che è un piacere e si arriva (forse troppo presto) ai titoli di coda, affidati ad una ballad commovente e dotata di un’eleganza fuori dal comune, intitolata
The Miracle, un pezzo la cui intensità smuove la coscienza dell’ascoltatore, suscitando emozioni contrastanti.
L’elemento che emerge maggiormente in questo bell’album, dalla produzione pressoché perfetta (forse troppo), è indubbiamente la freschezza compositiva, merito senz'altro delle doti tecniche e compositive del suo leader, ma forse anche del tempo che la band riesce saggiamente a prendersi tra un disco e l’altro e che, nella maggior parte dei casi, può solamente portare dei benefici a livello di song-writing e di ispirazione.
A pensarci bene è proprio la particolare vena creativa che ha sempre fatto la differenza negli album dei
Kenziner, rispetto a tanti altri loro più illustri colleghi (di cui preferisco evitare fare nomi, anche perché sarebbero troppi), che da anni portano stancamente avanti un genere nel quale probabilmente nemmeno loro riescono più a riconoscersi, poiché spinti solo da pressioni esterne.
Keskinen e soci invece, dopo più di 20 anni, credono ancora fermamente nella loro proposta musicale, la proteggono, se la coccolano e la fanno maturare con cure amorevoli e attenzione ai dettagli, quasi come un genitore fa con un figlio e il risultato è sotto gli occhi (le orecchie) di tutti: il sound di ogni loro disco, risulta sempre ispirato, tanto che, perfino elementi apparentemente agli antipodi, come melodia e aggressività o tecnica e ferocia, riescono sempre a trovare il perfetto equilibrio, e pazienza se tra un lavoro e l’altro passano in media 6-7 anni, l’importante è salvaguardare la qualità del prodotto finito.