14 album in 20 anni, una fan base che parte dall'
indie e si allarga verso territori
mainstream, una line-up di affermatissimi professionisti, e una musica che definire
snob è un eufemismo... cosa chiedere di più ai
The Pineapple Thief? Forse solo uno dei monicker più brutti della storia...
Vabè. Dunque. "
Versions of the Truth" riprende il discorso esattamente dove lo aveva lasciato "
Dissolution", ossia: prog-rock moooolto ricercato, poco prog e poco rock, ma tanto c'è Gavin Harrison alla batteria, quindi bisogna gridare al miracolo per forza, vero? Canzoni depressoidi, nei testi e nelle linee vocali e negli arrangiamenti, che non colpiscono di spada, né di fioretto, non colpiscono proprio per niente; una continuità stilistica ed una cura nei suoni sicuramente invidiabile, per cui il prodotto è davvero confezionato con la perizia che detti musicisti hanno da vendere, eppure...
Mi rimane ancora quella sensazione di un album molto crepuscolare, poco spontaneo e poco fruibile, a meno di non essere saldamente calati nel genere. Il rischio, come spesso accade con uscite del genere, è di sopravvalutare l'opera per i pregressi meriti dei creatori. In parole povere, "
Versions of the Truth" è un album autoreferenziale, che va bene a chi ama sorseggiare mojito e mangiare tofu con un camicia bianca in spiaggia, più interessato a parlare di Sykes o Harrison o Soord, che a sentir risuonare dentro la magia della musica
from within. Fate voi.
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