Il primo vero
solo-album della carriera di
Josh Ramos (almeno secondo le note promozionali della
Frontiers Music … evidentemente il nostro considera “
Living in the light” del 2003 il frutto di un progetto collettivo …) è un corroborante tonico per chi ama l’
hard-rock “classico” e conosce assai bene lo stile incisivo e sensibile del chitarrista americano, emerso nitidamente in trattati sonori griffati Hardline, The Storm e Two Fires.
Pur non rinunciando del tutto all’
AOR sfarzoso che ha contraddistinto alcuni dei momenti più esaltanti della sua parabola artistica, la scelta di privilegiare suoni maggiormente grintosi e pulsanti potrebbe finire per deludere alcuni dei suoi
fans (quelli che, per intenderci, lo considerano, a ragione, uno dei pochi musicisti in grado di poter essere accostati all’arte suprema di “sua maestà”
Neil Schon …) e anche la decisione di affidare il microfono a una prestigiosa coalizione di provetti esponenti della fonazione modulata rischia di far “storcere il naso” a qualche
rockofilo, dubbioso sulla coesione dell’opera e sul grado di coinvolgimento dei suddetti (ricordando inoltre che al lavoro contribuiscono pure
Fabrizio Grossi,
Michael T. Ross,
Alex Alessandroni Jr. ed
Eric Ragno).
E allora diciamo che personalmente le uniche piccole disomogeneità che ho rilevato riguardano la produzione e il livello del
songwriting, non sempre assolutamente convincente e appassionante.
Si parte con la possente “
Today’s the day”, una delizia
Purple-iana ben gestita dall’ugola vibrante di
Joe Retta (Heaven & Earth) e si continua sulla stessa falsariga con il
groove ardente di “
Unbroken”, a cui
Terry Ilous imprime tutta la passionalità mutuata dalla sua esperienza nei Great White (e ne La Famiglia Superstar …). Le atmosfere suggestive e malinconiche di “
Blameless blue” rappresentano probabilmente il momento più elevato del programma, anche grazie alla splendida prestazione di un sempre grandissimo
Danny Vaughn (Tyketto), e piuttosto intrigante si rivela anche la successiva “
Immortal”, una sorta di Led Zeppelin “adulti”, abilmente pilotata dalla flessuosa laringe di
Tony Harnell.
Alcuni gradevoli “riempitivi” (“
Same ol’ fears”, “
Moving on” e la ruggente “
Too good to be true”), per poi tornare alle segnalazioni di maggior rilievo, che si chiamano “
I've been waiting”, liquida ballata dominata dalle ispirate
vocals di
Harry Hess, “
Forefather” un
gospel-rock impreziosito da una sentita interpretazione firmata da
Eric “pretty-face” Martin e l’accattivante
mix Van Hagar / Bad Company “
All over now”, con
Retta sugli scudi.
Alle “menzioni d’onore” si aggiungono infine un (solo) strumentale, "
Ceremony”, dove
Josh lavora con buongusto su atmosfere vagamente
Ronnie Montrose-esche, e "
I'm only human”, che attraverso l’accorato linguaggio del
blues ci ricorda quanto ci manchi la voce di
Tony Mills, qui già leggermente sfibrata dalla maledetta malattia che l’ha prematuramente sottratto all’affetto dei suoi tanti estimatori.
Forse non tutti i “numerosi lati” della ricca personalità espressiva di
Ramos sono stati adeguatamente esplorati tra questi solchi, ma “
My many sides” rappresenta comunque un buon disco, che ogni appassionato di musica
rock non disdegnerà inserire nella sua preziosa collezione.