Ci sono delle bands che, pur essendo musicalmente preparate ed avendo delle idee valide, per un motivo o per un altro, non riescono mai a sfondare veramente, ed è forse questo il caso degli australiani
Vanishing Point, giunti con
Dead Elysium al loro sesto album in studio in ben 25 anni di carriera.
In questo lungo lasso di tempo i ragazzi di Melbourne hanno tentato in tutti i modi di realizzare un disco che li consacrasse definitivamente e, nonostante le buonissime intenzioni, solo a tratti vi sono riusciti, qua e la qualche spunto interessante nei loro 5 precedenti album, ma nulla di più! Cosi i nostri, guidati ancora una volta dai due membri fondatori, ovvero il chitarrista
Chris Porcianko ed il vocalist di chiare origini italiane
Silvio Massaro, che saranno ancora una volta i veri e propri protagonisti di questa nuova fatica discografica, coraggiosamente ed encomiabilmente ci riprovano!
Dead Elysium parte bene (forse troppo), con una title-track che tutto sommato sembra convincere anche gli ascoltatori più scettici (come il sottoscritto), per la cura con cui vengono sviluppate le composizioni musicali e la tanta passione sprigionata (grande prova canora di
Massaro) e grazie a dei riffs di chitarra forse mai cosi cupi e tirati nella carriera della band, il tutto sostenuto da una sezione ritmica particolarmente robusta. Tutto sommato anche la seconda traccia intitolata
Count Your Days si fa apprezzare per le medesime caratteristiche della opener, eppure qualcosa si rompe già nella successiva
To The Wolves, caratterizzata da un refrain abbastanza diretto e scontato, peculiarità quest’ultima che troveremo anche nella struttura di altri brani come
The Fall o
Recreate The Impossibile, tutti pezzi in cui il pathos rimane su buoni livelli (anche qui per merito soprattutto dell’intensità espressiva del frontman della band), ma le composizioni diventano più scarne e la qualità inizia a scemare, non convincendo del tutto. A peggiorare ulteriormente la situazione vi è un pezzo come
Salvus che, forse nelle intenzioni del gruppo avrebbe dovuto rappresentare l’autentica esaltazione della melodia, ma che, a essere onesti, è un brano assolutamente deludente e privo di sostanza. Fortunatamente poi ci sono tracce come la viscerale
Free e la convincente
Shadow World con le sue spruzzate di prog-power, mentre
The Healing invece è il classico “brano alla Vanishing Point”, ossia che strizza l’occhio tanto al power (per la sezione ritmica) quanto all’AOR (per l’ariosità delle melodie), tralasciando quei tratti progressivi che forse riescono meglio alla formazione australiana, e lo stesso dicasi per la conclusiva
The Ocean, dall’andamento tiratissimo e con delle buone chitarre, ma forse oltremodo diretto ed orecchiabile.
A conti fatti, che dire di questa nuova fatica dei
Vanishing Point? Beh, anzitutto siamo dinnanzi a un disco onesto, che si fa tutto sommato ascoltare ed in molti tratti anche piacevole, ma che alla lunga rischia anche di stancare per l’eccessiva linearità della propria struttura. Insomma, a mio personalissimo avviso, ancora una volta la formazione australiana, pur animata da buone intenzioni, è incappata nei suoi soliti errori, optando nuovamente per un sound diretto che, per carità, può anche risultare gradevole e fruttare i suoi vantaggi, ma che in molti frangenti si rivela anche scontato e borioso, e che indubbiamente non è lo strumento più adatto per sviluppare le idee del combo australiano e le sue buonissime potenzialità, le quali, una volta ancora, vengono espresse solo parzialmente.
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